“AVRO’ DUNQUE SOGNATO!” Leo Nucci – 50 anni di carriera
Piacenza – 2 aprile 2017
Gli omaggi e le celebrazioni “alla carriera” avvengono, solitamente, a carriera conclusa. Non è stato il caso della festa organizzata dal Teatro Municipale di Piacenza che, lo si sottolinea, è retto da due Donne con la “D” maiuscola: Angela Longeri, sovrintendente e Cristina Ferrari, direttore artistico. Le quali per l’occasione hanno messo in piedi un vero e proprio spettacolo, con una sceneggiatura mirata e con un’oculatissima regia. Spettacolo, andato in scena il 31 marzo, replicato domenica 2 aprile e quindi portato a Modena per altre due serate, che rappresenta l’esatto opposto di quanto si possa immaginare di compiacente ed agiografico tributo o, peggio, di un patetico “ritorno al passato“, poiché entrambi i concetti rifuggono dalla personalità, invero vulcanica, del Baritono per molti versi già consegnato alla Storia del Melodramma – al di là della sua incombustibile e miracolosa giovinezza vocale – e che all’opera, al teatro, alla musica e al “buon Verdi”, ha dedicato e dedica da sempre la maggior parte della sua vita e tutte le sue forze, fisiche ed intellettuali.
Salvo Piro, regista che abitualmente affianca Nucci nelle fatiche di “metteur en scene”, come egli stesso si ama definire, ha ideato una drammaturgia coinvolgente, in cui si rappresenta la quotidianità di un teatro d’opera. A sipario levato, artisti e tecnici si incrociano in scena nei frenetici preparativi che precedono uno spettacolo. Nell’ideale camerino, ricreato in scena su un carrello mobile, il Protagonista legge, grazie alla sua voce registrata, alcune lettere di Verdi che rappresentano non solo ed ovviamente la volontà dell’Autore, bensì il condivisibile “Nucci pensiero”; quella che dovrebbe essere la filosofia, se mi si passa il termine, del nostro melodramma: la fedeltà alla musica, la cura della parola scenica, l’effetto teatrale che deve sorgere a dispetto della edonistica bellezza di un suono, dall’anima del protagonista nel “sentire” del personaggio.
A questi “intermezzi” recitati si sono intercalati i brani musicali: sinfonie e cori e, addirittura, atti interi delle opere che hanno rappresentato tappe salienti nella carriera (e vita) di Nucci: l’atto primo della Luisa Miller, opera che lo impose all’attenzione mondiale dopo il debutto al Covent Garden, il terzo atto de Un ballo in maschera e, immancabile, il terzo atto del Rigoletto, di cui l’amico Leo rappresenta l’incarnazione più fedele, sia vocalmente che scenicamente. La Sinfonia del Nabucco, il preludio ed il coro delle streghe dal Macbeth, il preludio al terzo atto de La traviata ed, infine, la maestosa scena dal Simon Boccanegra, il grande concertato che prende l’incipit dal verso del Boito “Plebe, Patrizi, Popolo!” hanno completato una recita che ha visto il pubblico, numerosissimo, balzare in piedi per una spontanea Standing Ovation finale.
Non starò ora a ripetere i mille ed uno meriti di un Artista che, innanzitutto, considero come un fratello e che amo incondizonatamente. Lo seguo da quasi cinquanta anni, pure io; dal remoto Mellot in un Tristano spoletino, con la regia di Menotti e la direzione di Schippers, e correva il 1968. Per non parlare delle volte che ci è capitato di stare seduti assieme in platea ad ascoltare la moglie, il soprano Adriana Anelli, impegnata sul palcoscenico del Liceo di Barcellona in una Lucia e quindi nel famigerato Rigoletto con Manuguerra e Nicolai Gedda, quando il compianto ed ammiratissimo tenore prese la stecca sul Si della “Donna è mobile”. Di ricordi ne avrei talmente tanti da scriverne un romanzo. Eppure ogni volta con Leo è un’emozione nuova, diversa: non è mai una recita “scontata” in tutti i sensi, poiché la sua generosità è proverbiale anche vocalmente. Là dove potrebbe dare 8 dà sempre 10, a differenza di altri che giocano oculatamante al risparmio.
Aggiungo solo, a sessantasei anni compiuti, di rimanere ancora e sempre colpito – per non usare un termine oggi di moda: “basito“ – dalla sua forza fisica, del suo agire in scena come un baldo trentenne. E pensare che tra una settimana, il 16 aprile che quest’anno cade a Pasqua, ne compie 75!
A sostenerlo nella fatica erculea, poiché cantare quelle quattro scene d’opera è come cantarne almeno tre di fila, c’è stata la direzione curatissima, carezzevole oserei dire, di Aldo Sisillo a capo della valentissima Orchestra dell’Opera Italiana che si è difesa benissimo, così come il Coro del Teatro Municiapale, istruito sempre con grande efficacia da Corrado Casati. Han fatto eccezionale figura i pertinenti ed assai belli costumi firmati da Artemio Cabassi, che nella scena finale ha organizzato una vera e propria sfilata di “Aute Couture”, di cui poi è noto specialista, vestendo con stupendi abiti da sera sia le soliste che le artiste del coro. Le luci, perfette nella loro dosatura e come sempre assai suggestive, le ha ideate Michele Cremona.
Ovviamente Nucci non era solo, bensì attorniato da giovani talenti, alcuni ormai in carriera, formatisi all’accademia di Piacenza: in rigoroso ordine di apparizione ricordiamo la deliziosa Maria Mudryak, lanciata ancora diciottenne dalla compagnia VoceAllOpera di Aliverta, che la impegnò quale Musetta di una strepitosa Bohéme e che conferma qui doti di grande interprete e vocalità notevolissima di soprano lirico leggero, avendo cantato Luisa Miller e quindi l’Oscar del Ballo e la Gilda in Rigoletto; il tenore Marco Ciaponi, dalla limpida e squillante vocalità, prima valente Rodolfo nella Miller, poi duca nel Rigoletto, dove ha siglato un “Parmi veder le lacrime” di altissima scuola, cantando con un pregevole gusto “antico”, attento non solo alla parola, ma offrendo anche una ampia tavolozza di colori. Il Re naturale, preso con facilità e ben sostenuto, che ha concluso la cabaletta è stata la ciliegina su un’esecuzione davvero notevole.
E’ piaciuto e molto il basso Cristian Saitta, che ha ripetuto il Tom da lui eseguito recentemente nel Ballo in scena a Piacenza ed è stato un vigoroso Wurm nella Miller, dove Laura era il soprano Federica Gatta, apprezzata pure lei.
Una rivelazione, per il sottoscritto, il soprano Clarissa Costanzo, davvero ammirevole in un appassionato “Morrò, ma prima in grazie” dal Ballo: voce bella ed ampia, impostata benissimo e, soprattutto, duttile nelle dinamiche caratterizzate da piani e pianissimi esposti con ottime emissione.
Benissimo anche il basso Nicolò Donnini, Samuel e quindi autorevole Ceprano e Monterone nel Rigoletto. Dove si sono fatti valere con onore il baritono Simone Tansini, Marullo, il tenore Alessandro Viola, Matteo Borsa e l’Usciere intonato da Julius Loranzi. Menzione speciale al delizioso Paggio della Duchessa, il giovanissimo soprano Leonora Tess, che nel suo breve, ma musicalmente impeccabile, intervento ha realizzato un sogno a lungo carezzato: cantare a fianco del suo tanto ammirato ed amatissimo Leo. “Avrò dunque sognato!” è valso per lei come, del resto, per tutti noi che ci siamo festosamente inebriati – e sgolati in grida di “bravo” – alla bellissima ed emozionante festa.
“Grazie Leo e Viva Verdi!” Le grida più volte lanciate ed a cui ci si associa senza riserve.
FOTO CRAVEDI
Andrea Merli