MILANO: IL BARBIERE DI SIVIGLIA – Giovanni Paisiello
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Giovanni Paisiello
Direttore: Ferdinando Sulla
Regia e scene: Gianmaria Aliverta
- Figaro: Carlo Checchi
- Rosina: Graziana Palazzo
- Conte di Almaviva: Néstor Losan
- Bartolo: Luca Simonetti
- Basilio: Luca Vianello
- Il Giovinotto/Alcalde: Maurizio De Valerio
- Lo Svegliato/Notaro: Gabriele Facciata
Costumi: Sara Marcucci.
Orchestra Giovanile VoceAllOpera
Teatro Spazio 89, 15 febbraio 2017
Attivo dal 2011, quando era ancora uno sbarbatello tenore 25enne, Gianmaria Aliverta, ormai barbuto come un novello Socrate appena 32enne è giunto passin passetto alla quinta stagione di VoceAllOpera società “monoprofessionale”, si direbbe in termini ippocratici, ormai nota all’universo ed in altri siti (specie quelli web popolati da giovani rampanti ben più del calvinesco barone) per le produzioni Low Cost di titoli d’opera che lo hanno imposto all’attenzione dei media nazionali ed esteri, curiosi di seguire l’evoluzione di questa sfida fatta di pochi spiccioli ma tanto, tantissimo entusiasmo ed amore per la musica e l’opera.
Stagione 2017 itinerante che prende il via dallo Spazio 89, un teatro della periferia nord ovest milanese, ormai nota sede di concerti – oltre che di altri spettacoli di genere vario – del Festival MITO, e che si svilupperà in altre sale cittadine. E si punta sì sul titolo di repertorio, una Butterfly che sarà comunque una doppia sfida tra tradizione e novità non solo scenica, sorta di risposta “proletaria” all’evento inaugurale del massimo Colosseo cittadino della stagione in corso, ma la si fa precedere da un assai poco frequentato Barbiere: quello di Giovanni Paisiello, opera deliziosa che fece impazzire il pubblico contemporaneo per freschezza e vitalità, ma che poi inevitabilmente oscurato dal dilagante ed irrefrenabile successo del suo remake rossiniano.
Ora pure questa decisione “alivertesca” ha in sé e per sé dell’incosciente coraggio. Poiché il bicentenario dalla morte dell’illustre Maestro è passata sotto silenzio nella Milano da bere e che conta e dunque, seppure con un pelino di ritardo giustificabilissimo, la compagnia di VoceAllOpera vi mette riparo con uno sforzo produttivo notevolissimo, in parte sostenuto dalla solvente ed a modo suo impagabile per generosità e dedizione Dottoressa Morosini che come sempre mette mano al portafoglio appagata dal fatto che la stagione è dedicata alla memoria del compianto figlio Francesco.
E dunque Low Cost fino a un certo punto, e cioè nello sbigliettamento, ma non nelle intenzioni artistiche. Una serie di audizioni per scegliere tra giovani aspiranti i cast più idonei hanno fruttato, in questa prima tornata, un esito davvero ammirevole. Un protagonista mercuriale dalla voce assai presente, il baritono Carlo Checchi, due buffi di vaglia, seppur giovanissimi ed alle primissime esperienze, il Don Bartolo di Luca Simonetti fisicamente imponente e scenicamente perfetto, il Don Basilio versione Metal del basso Luca Vianello, a metà strada tra il gatto e la volpe per melliflua presenza, una svettante ed agile Rosina, il soprano Graziana Palazzo ed un tenore di cui si sentirà parlare e presto, nella parte del Conte di Almaviva, il valenciano Néstor Losan, dalla figura gagliarda e dalla voce assai bella e ben impostata. A chiudere l’elenco in ruoli marginali, ma che la regia ha reso salaci, Il giovinetto, nonché Alcalde di Maurizio De Valerio e Lo svegliato e pure Notaro di Gabriele Facciata. Tutti preparati benissimo da Bruno Taddia, nel corso di una settimana di intenso lavoro previo, con quell’imprinting “alla Montarsolo” che è la sua specialità.
L’Orchestra Giovanile VoceAllOpera questa volta era composta da una dozzina di bravissimi ragazzi e dall’abile maestro Fabio Maggio al pianoforte che fungeva pure da suggeritore in scena, integrandosi con trovate spiritosissime allo spettacolo. La direzione affidata ad una bacchetta in crescita, quella di Ferdinando Sulla, già attivo al Festival di Martina Franca, con cui ormai VoceAllOpera è gemellata per i corsi formativi, e che ha retto assai bene le sorti di un palcoscenico vivacissimo.
E qui si ritorna al principio, ad Aliverta: che ormai è maturato dopo esperienze in palcoscenici importantissimi, come quello della Fenice veneziana per dirne solo uno, ma che non rinuncia ad una sua cifra scanzonata e nel contempo rispettosa della musica e della drammaturgia. Il “pauperismo” oggi di moda, ma costosissimo in certi inutili allestimenti, qui ha una sua ragione di essere e, di fatto, “le scene” si riducono agli attrezzi. Non così i costumi, pure a costo quasi zero, creati dalla bravissima Sara Marcucci. Costumi che partendo dalla tradizione settecentesca si trasformano, man mano che l’azione si sviluppa, nell’abbigliamento dei ragazzi di oggi dì, con scarpe da tennis ed anfibi ai piedi, per intenderci. Sfruttando al massimo la fisicità dei cantanti, Aliverta non rinuncia a spogliare sia soprano che tenore che nel duetto d’amore sottraendosi a Don Bartolo, amoreggiano sulla scala come se stessero, in realtà, eseguendo West Side Story. Un momento di innegabile e ben riuscito erotismo, contenuto e credibile.
Il punto di maggior comicità, comunque, si ha nel travestimento del Conte in Don Alonso, curiale in versione santone indiano che impone pratiche yoga al povero Don Bartolo. Il pubblico ha risposto con risate ed applausi a scena aperta e con richiami insistiti alla ribalta finale. Bene bravi bis! Probabilmente al Festival Paisiello di Taranto. Se il buon giorno si vede dal mattino, qui siamo già in uno splendente e soleggiato mezzodì.
Andrea Merli