BILBAO: LUCREZIA BORGIA – Ottobre 2016
Lucrezia Borgia
opera in un prologo e due atti
musica di Gaetano Donizetti
su libretto di Felice Romani
tratto dall’omonima tragedia di Victor Hugo
Direttore: José Miguel Pérez Sierra
Regia: Franceso Bellotto
Personaggi e Interpreti:
- Donna Lucrezia Borgia: Elena Mosuc
- Gennaro: Celso Albelo
- Don Alfonso d´Este: Marko Mimica*
- Maffio Orsini: Teresa Iervolino*
- Rustighello: Mikeldi Atxalandabaso
- Apostolo Gazella: Jose Manuel Díaz
- Ascanio Petrucci: Zoltan Nagy
- Oloferno Vitellozzo: Manuel de Diego
- Gubetta Velverana: Fernando Latorre
- Astolfo: German Olvera*
- Jeppo Liverotto: Jesús Álvarez*Euskadiko Orkestra Sinfonikoa
Coro de Ópera de Bilbao
Direttore del coro: Boris DujinProducción Coproducción Teatros de Torino, Bergamo y Sassari**Debutta in ABAO-OLBE
“Stagione ricca, mi ci ficco” parafrasando un motto del gioco del poker ci si riferisce a quella che, se non nel mondo in Spagna almeno, sulla carta è la stagione più stimolante. Cinque i titoli nel cartello della gloriosa ABAO, associazione bilbaina amici dell’opera, che vive grazie agli sponsor quasi senza sovvenzioni pubbliche. Onore al merito al Presidente dell’associazione, Juan Carlos Matellanes, ben coadiuvato da Maite De la Fuente alla vicepresidenza e soprattutto al direttore artistico, con funzione pure di capo della produzione, Cesidio Nino. All’inaugurale Lucrezia Borgia, accolta con un trionfo lusinghiero a sala stracolma, quella enorme dell’Euskalduna Jauregia in realtà poco idonea all’opera, seguirà una Cenerentola assai promettente, il raro Stiffelio, un non meno allettante Don Giovanni ed in conclusione Andrea Chénier con il debutto di ruolo di Gregory Kunde.
Ora non si poteva certo mancare l’appuntamento con l’atteso debutto di Celso Albelo in un ruolo, che sembra scritto per lui non a caso canario, sebbene di Tenerife, come il più grande Gennaro dello scorso secolo, senz’ombra di dubbio e senza possibilità di confronto, Alfredo Kraus. Che Albelo ne segua idealmente la traccia è inevitabile e già dal primo approccio la parte gli calza come un guanto. Voce di timbro felice, luminoso e chiaro, con una copertura del suono che fa pensare, in un tempo non lontanissimo, all’acquisizione di altri ruoli: uno per tutti il Riccardo de Un ballo in maschera. Linea di canto sempre nobile, anche quando il personaggio fa il guascone in mezzo alla combriccola di compagni, stilisticamente controllata e sostenuta da un’emissione e da una tecnica forbitissime. Gusto nel fraseggio, accento e dizione da manuale e capacità notevole di sfumare, addolcire e ammorbidire il suono con effetti esaltanti tanto nell’inziale barcarola “Di pescatore ignobile” quanto nella temibile aria di Ivanov, opportunamente riposizionata dopo la scena del coro e Rustichello che apre il secondo atto; soprattutto commovente finale, quello aggiunto nel 1840: “Madre se ognor lontano”, dove ha fatto rivivere il mito del “tenore della bella morte”, il celeberrimo Napoleone Moriani. Trionfo personale assolutamente condivisibile.
Non meno applaudita, anche se gli spagnoli sono degli sciovinisti ed hanno una comprensibile predilezione per i cantanti connazionali, Elena Mosuc nel monumentale ruolo della protagonista. Il soprano rumeno ha affrontato per la seconda volta, nella sua ormai consolidata carriera, il ruolo della Borgia dopo le recite di Bruxelles pure accolte trionfalmente. L’intelligenza dell’Artista, che possiede un mezzo prezioso di soprano lirico con una notevole predisposizione alla coloratura -come del resto ben sanno i bilbaini che l’hanno applaudita quale Elvira ne I Puritani– la porta a non tradire mai la sua vera natura e quindi a tenere la voce sempre sul fiato, leggera per poter svettare in acuto, laddove coglie poderosi e ben sostenuti Mi bemolle, sapendo dosare “pianissimi” in eteree e seducenti maglie che si rafforzano e si stemperano con un dominio perfetto. In zona centrale risolve da par suo, senza affondi veristicheggianti e senza spingere di petto, ma piuttosto giocando con l’accento, che sa essere veemente ma non scade nella volgarità fuori tono con la nobiltà del personaggio e del canto. Ne scaturisce una Lucrezia dolente, ma anche minacciosa e vendicativa, rispettando così la “leggenda nera”, che fa della Borgia una malvagia avvelenatrice. Un’immagine antistorica, ma a cui contribuì decisamente Victor Hugo con la tragedia da cui poi, in tempi record, Felice Romani trasse il libretto. La Mosuc ne riscatta l’aspetto materno e sognante, nello stupendo cantabile al suo ingresso “Com’è bello, quale incanto” e nel successivo duetto con Gennaro; infine tocca gli apici della disperazione nel rondò finale della versione 1833: “Era desso il figlio mio”. Un’esecuzione memorabile che le è valsa una grande ovazione.
Assieme a tanta dovizia, il contorno non poteva essere trascurato né trascurabile: iniziando dall‘ottimo, per musicalità perfetta e per timbro prezioso, Maffio Orsini cantato assai bene e con grande disinvoltura scenica da Teresa Iervolino, elemento in rapida ascesa e che ci si vanta di aver seguito sin dai primi “vagiti artistici”, quando era poco più che maggiorenne. Il timbro contraltile ben si è sposa con quello di Gennaro nel duetto del secondo atto e ha dato poi brillante sfogo nel bolero del brindisi “Il segreto per esser felici“.
Elemento di spicco il giovane basso croato Marko Mimica, dotato di voce ricca di armonici che per colore e potenza si adatta alla tessitura di Alfonso. Una maggiore maturità nel fraseggio, che deve approfondire ulteriormente, farà di lui un artista di cui sentiremo parlare spesso e bene anche perchè scenicamente s’impone. Un vero lusso la presenza del tenore Mikeldi Atxalandabaso, nel ruolo tutt’altro che marginale di Rustighello, e perfettamente in armonia il resto del cast che elenchiamo con piacere: José Manuel Diaz, Gazella, Zoltan Nagy, Petrucci, Manuel de Diego, Vitellozzo, Fernando Latorre, Gubetta, German Olvera, Astolfo, Jesus Alvarez, Liverotto ed infine Sergio Lopez, un servo e Javier Campo, voce interna. Benissimo il coro maschile, assai partecipe al gioco scenico, istruito al solito da Boris Dujin, e molto disciplinata l’ottima Orchestra Sinfonica di Euskadi, guidata con precisione e con un’ottima resa da José Miguel Pérez Sierra, attento alle dinamiche, a non sopraffare mai le voci, ma anche capace di una lettura personale e godibilissima.
Successo senza crepe anche per il collaudato allestimento proveniente da Bergamo, via Torino e Sassari, firmato per le scene da Angelo Sala, per i ricchi costumi da Cristina Aceti, per le luci da Fabio Rossi e per i movimenti coreografici da Martin Ruis. La regia di Francesco Bellotto è stata ripensata per l’occasione. La presenza in scena della giovane Lucrezia che si separa dal piccolo Gennaro – nella realtà storica quell’Infans romanus Giovanni Borgia, avuto dall’amante Perotto, ucciso dal fratello di lei Cesare e ripescato morto dal Tevere – per motivi politici. Sul potere papale Bellotto giustamente insiste: Lucrezia ne fu la principale vittima e nel finale compare una folla di prelati vaticani che sopraggiungono guidati dal “padre-padrone“, il papa Alessandro IV al secolo Rodrigo Borgia, davanti cui si prosta il Duca Alfonso. Una scena perfettamente leggibile anche per chi è digiuno di storia. Un falso, si dirà. Certo, come del resto è assolutamente falsa tutta la trama, ma non perciò meno avvincente in un’opera che, precedendo Lucia di Lammermoor di tre anni, appare per molti versi quella proiettata in avanti e più “moderna“, si direbbe oggi, tra le tante di Donizetti.
foto: E.Moreno Esquibel
Andrea Merli