Opera Lombardia Brescia:  TURANDOT – Giacomo Puccini

Opera Lombardia Brescia: TURANDOT – Giacomo Puccini

OPERA IN TRE ATTI E CINQUE QUADRI
MUSICA DI GIACOMO PUCCINI
LIBRETTO DI GIUSEPPE ADAMI E RENATO SIMONI DALL’OMONIMA FIABA TEATRALE DI CARLO GOZZI ED. CASA RICORDI, MILANO

Direttore: Carlo Goldstein

Regia, Scene e Luci: Giuseppe Frigeni

  • Turandot: Teresa Romano
  • Altoum: Marco Voleri
  • Timur: Alessandro Spina
  • Calaf: Rubens Pelizzari
  • Liù: Maria Teresa Leva
  • Ping: Leo An
  • Pang: Saverio Pugliese
  • Pong: Edoardo Milletti
  • Un Mandarino: Omar Kamata  

 

  • Costumi: Amélie Haas
  • M°del coro: Diego Maccagnola
  • M°del coro voci bianche: Hector Raul Dominguez
  • Orchestra “I pomeriggi musicali di Milano
  • Coro di Operalombardia
  • Coro di Voci Bianche Mousiké-Smim Vida di Cremona
  • Banda di palcoscenico “Isidoro Capitanio” di Brescia

Teatro Grande, 30 settembre 2016.

TEATRO GRANDE STAGIONE LIRICA 2016/17 TURANDOT 1 ATTO 2 ATTO 3 ATTOPrende il via da Brescia il circuito lombardo “Opera Lombardia” che quest’anno coinvolgerà pure Modena e Reggio Emilia. Dal 30 settembre del corrente 2016 fino al 22 gennaio 2017 vedrà protagoniste le città di Bergamo, Brescia, Como, Cremona e Pavia. Ai nastri di partenza, al Teatro Grande di Brescia, Turandot il capolavoro incompiuto di Giacomo Puccini, qui rappresentato col consolidato “finale Alfano” nel taglio imposto da Arturo Toscanini.

Ha incontrato sin dalla “prima” un franco successo di pubblico accorso numeroso alla serata di “gala” esibendo tutti gli splendori della dorata provincia italiana, in bella mostra anche in tempi di crisi per sfoggio di toilettes delle signore, alcune delle quali non hanno esitato a togliere dalla naftalina e ad esibire le pellicce, nonostante il clima ancora pienamente estivo. Il tutto esaurito è stato pressoché inevitabile – coi tempi che corrono pur sempre auspicabile – con un titolo, che deve la sua universale popolarità al famigerato “Vincerò”, ma che rimane tra le più amate opere di repertorio.

TEATRO GRANDE STAGIONE LIRICA 2016/17 TURANDOT 1 ATTO 2 ATTO 3 ATTOTitolo che richiede un impegno orchestrale notevolissimo e che l’orchestra “I pomeriggi musicali di Milano” ha dimostrato di poter sostenere superando la prova con lodevole precisione, pulizia ed un amalgama perfetto dei suoni già ai nastri di partenza. Merito, sicuramente, della autorevole bacchetta di Carlo Goldstein che ha compiuto la prodezza di dirigere l’opera a memoria, senza l’ausilio dello spartito, con slancio notevolissimo. Se qualche dinamica, specie nel primo atto, avrà bisogno di essere ridimensionata, non si può che plaudire con entusiasmo alla lettura fortemente teatrale e, nel contempo, attenta alle voci, sempre nella cura di non sovrastarle. Belle anche le agogiche che, puntando all’aspetto favolistico della vicenda, sono parse sempre centrate e motivate dall‘esigenza drammaturgica.

TEATRO GRANDE STAGIONE LIRICA 2016/17 TURANDOT 1 ATTO 2 ATTO 3 ATTOIl palcoscenico, del resto, è stato assai ben difeso da un manipolo di artisti che non disdegnerebbero i maggiori teatri a livello mondiale: iniziando dalla superba prova offerta dalla protagonista, il soprano Teresa Romano, che sembra aver trovato definitivamente la strada per imbrigliare una vocalità rigogliosa e di grana pregevolissima. Sinceramente, memori di precedenti non proprio esaltanti prove, se n’è rimasti stupiti per come ora il soprano sia in grado di dominare tutte le dinamiche, dal pianissimo al forte, fornendo una prova musicale di altissimo livello. Colorando e dando intenzione alla parola cantata con ricchezza di sfumature e di accento, recuperando quella scuola italiana di cui Giovanna Casolla, per citare solo l’esempio preclaro ed ancora in carriera, sembrava costituire l’ultimo testimone senza possibilità di replica. La Romano, insomma, ci fa ben sperare e soprattutto recupera l’italianità del ruolo con una coscienza interpretativa di grande rilievo.

TEATRO GRANDE STAGIONE LIRICA 2016/17 TURANDOT 1 ATTO 2 ATTO 3 ATTOAccanto a lei il tenore Rubens Pelizzari, dotato di un timbro solare di rara bellezza, pur tradendo una leggera emozione proprio là dove dovrebbe navigare più sicuro, e cioè nell’aria “Nessun dorma” che peraltro il pubblico ha accolto con l‘unico e prolungato applauso a scena aperta della serata, ha superato brillantemente la prova. In maniera esemplare per tutta la scena degli enigmi, precedentemente con un “Non piangere Liù” molto coinvolgente e finalmente con slancio appassionato nel duetto di Alfano. Calorosa accoglienza pure quella riservata alla Liù del soprano Maria Teresa Leva, già messasi in luce, proprio a Brescia la scorsa stagione, cantando il ruolo di Mimì nella Bohéme del circuito. Ulteriormente maturata nella linea di canto, costellata di pregevoli messe in voce e pianissimi debitamente rinforzati, squisita come interprete, ha vinto facilmente in questo rinnovato impegno e ci si augura di rivederla presto in scena, anche in ruoli di maggior peso vista la bella e piena liricità del timbro.

TEATRO GRANDE STAGIONE LIRICA 2016/17 TURANDOT 1 ATTO 2 ATTO 3 ATTOAutorevole ed assai ben cantato il Timur interpretato dal basso Alessandro Spina, preciso il Mandarino di Omar Kamata e notevole, senza cadere nella caricatura di un canto senescente, l’imperatore Altoum impersonato da Marco Voleri. Menzione speciale alle tre maschere, assai ben amalgamate nei rispettivi timbri e pur dotate di distinguibile personalità, sia scenica che vocale. Iniaziando dal Ping del baritono cinese Leo An, davvero un lusso di vocalità e canto, e passando ai due tenori, entrambi bravissimi, Saverio Pugliese, Pang e Edoardo Milletti, Pong, assai godibili nelle rispettive caratterizzazioni. Lode sia al coro di voci bianche, diretto da Hector Raul Dominguez che a quello di Operalombardia, affidato alla cura del Maestro Diego Maccagnola, da cui sono state prese in prestito, senza poter godere l’onore di apparire in cartello, le due ancelle di Turandot: bravissime ed intonatissime.

Rimane, dulcis in fundo, lo spettacolo firmato per regia, scene e luci da Giuseppe Frigeni, mentre i costumi sono di Amélie Hass. Discepolo di Bob Wilsson, Frigeni opta per una regia essenziale, giocata su una gestualità stereotipata, tanto cara al suo mentore, sostanzialmente convenzionale. Non rinuncia però al voler distinguersi con qualche idea che possa garantirgli l’agognata “diversità“, per la verità inseguita pure da molti altri suoi colleghi.

Ormai, impiccionescamente parlando (e scrivendo) ho tracciato una sorta di schema per distinguere due filoni di regia “moderna”: la prima, diffusa soprattutto all’estero è quella in cui la drammaturgia originale è proditoriamente tradita e sostituita da un’azione che con lo svolgersi dell’opera non ha niente da spartire. Un modello che da noi vanta, fortunatamente, pochissimi seguaci e che fantozzianamente catalogo come “cagata pazzesca”. La seconda, molto più diffusa, quella sostanzialmente convenzionale, ma dove si aggiungono ideuzze e trovatine, e che definisco della “stupidità dilagante”. Allo spettatore, finalmente e definitivamente, poi l’ardua sentenza.

TEATRO GRANDE STAGIONE LIRICA 2016/17 TURANDOT 1 ATTO 2 ATTO 3 ATTOQui si assiste ad una strenua, quanto vana, ricerca di individualità che spesso si traduce in errori teatrali censurabili, in cui non dovrebbero incorrere nemmeno i principianti. Per esempio il dividere il coro in due tronconi, lasciandolo perennemente in quinta, il ché specie nel corso del primo atto ha messo a repentaglio la coordinazione musicale dei vari settori. Altro errore far cantare i due protagonisti quasi sempre in fondo al palcoscenico, con quel popò di orchestrazione che c’è sotto, tra l’altro. Nella scena degli enigmi l’Imperatore, seduto su una panchina davanti a Calaf e Turandot, pareva stesse aspettando Godot mentre buona parte del pubblico, almeno un quarto del teatro tra cui il sottoscritto da un palco laterale, non vedeva la protagonista durante l’esposizione degli indovinelli. Tra le molte incongruenze, se ne citino solo altre tre: la povera Liù che, distesa morta per terra, viene ricoperta da una “fatal pietra” e deve rimanere immobile per tutta la durata del duettone di Alfano; il bacio del “disgelo” sostituito dall’espoliazione di Turandot: Calaf le sfila il soprabito e, tenendolo in braccio per il resto della scena, pare stia cantando la bohémienne “Vecchia zimarra”; infine, il “finalone” del terzo atto, vede Turandot quale novella Amneris distesa sulla lapide tombale di Liù poiché Calaf, novello Radames, la rifiuta con un ghigno di sdegno e compatimento, avviandosi verso l‘imperatore Altoum: “Che volesse maritarsi con me?” direbbe il rossiniano Don Magnifico.

Certe “super interpretazioni” lasciano da tempo… il tempo che trovano. Per fortuna all’ingresso in ribalta dei fautori dello spettacolo s’è sentito solo un indistinto mormorio, una sostanziale attenuazione dell’applauso, ma poi nel comun gaudio tutto è finito in gloria: poteva andare peggio.

Andrea Merli

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