Torino TOSCA – Giacomo Puccini Teatro Regio, 17 febbraio 2016. Parma L’OCCASIONE FA IL LADRO (Ossia il cambio della valigia) – Gioachino Rossini Teatro Regio, 18 febbraio 2016.
Associo due “impiccionate” per il breve lasso di tempo che le separa: la sera di mercoledì 17 passata al Regio di Torino per un’imperdibile Tosca, e mi riferisco al lato musicale, quella successiva del giovedì 18 febbraio con una toccata e fuga in quel di Parma, per un’Occasione rossiniana, che è sempre una delizia riascoltare e, soprattutto in questo caso, rivedere nel saporito ed assai divertente nuovo allestimento.
TOSCA
Melodramma in tre atti
Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa
dal dramma La Tosca di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Direttore d’orchestra : Renato Palumbo
Regia : Daniele Abbado
Personaggi e Interpreti:
- Floria Tosca: María José Siri, Elena Rossi (10, 12, 16, 18, 20)
- Mario Cavaradossi: Roberto Aronica, Carlo Ventre (10, 12, 16, 18, 20)
- Il barone Vitellio Scarpia: Carlos Álvarez, Claudio Sgura (10, 12, 16, 18, 20)
- Il sagrestano: Roberto Abbondanza
- Spoletta, agente di polizia: Luca Casalin
- Cesare Angelotti, console della Repubblica Romana: Gabriele Sagona
- Sciarrone, gendarme: Nicolò Ceriani
- Un carceriere: Lorenzo Battagion, Giuseppe Capoferri (10, 12, 16, 18, 21)
- Un pastorello: Fiammetta Piovano, Sara Jahanbakhsh (10, 12, 16, 18, 20)Scene e costumi: Luigi Perego
Luci: Valerio Alfieri
Video: Luca Scarzella
Assistente alla regia: Patrizia Frini
Assistente ai video: Michele Innocente
Maestro dei cori: Claudio FenoglioOrchestra e Coro Teatro Regio Torino
Coro di voci bianche Teatro Regio Torino e Conservatorio “G. Verdi”
Allestimento Teatro Regio in coproduzione con Teatro Comunale di Bologna
Produzione originale Hyogo Performing Arts Center (Nishinomiya, Giappone)
Novità per l’Europa
Si liquidi in poche righe quello di Torino, che ha come unica virtù quella di essere un riciclaggio di uno spettacolo che forse poteva far discutere sul nascere una decina di anni fa ma che, ripreso ora con la mano sinistra, pare del tutto superato, inutile e drammaturgicamente sfasato. Lo firmò a suo tempo per la regia che ora riprende, Daniele Abbado. Scene e costumi si debbono a Luigi Perego, le luci a Valerio Alfieri, le video proiezioni a Luca Scarzella. Una piattaforma inclinata e girevole, di non facile accesso (gli sbirri vi accedono addirittura rotolando, la protagonista lateralmente e da dietro tenendosi le gonne ed inficiando, così, l’impatto di un’entrata che la musica esige precipitosa sul canto delle parole “Perché chiuso?”) limitata ai lati da colonne bianche che valgono sia per la chiesa di Sant’Andrea della Valle che per Palazzo Farnese. La statuta del grande angelo incombe nel terzo atto e vien fatta girare come su una giostra. Tosca stramazza non si getta dagli spalti, inesistenti, bensì stramazza al suolo di fianco al fucilato Cavaradossi, mentre sul fondo si proietta l’ombra inquietante di una donna: l’Attavanti? Boh. Non è dato sapere. Né è necessario porsi altre domande. Dai costumi, bruttarelli quelli di lei, s’intuisce che l’azione è post datata a quel 1900 che vide la prima dell’opera. I fucili imbracciati dai soldati per l’esecuzione, però, sembrano delle mitragliatrici Kalashnikov. Altra incongruenza: Scarpia da subito si mostra lascivamente bramoso di Tosca, agguantandola in più riprese ed anticipando una situazione che dovrebbe seguire la frase “Se la giurata fede debbo tradir” eccetera. Per non parlare del desco, un misero tavolino “vestito”, e l’assenza di uno scrittoio. Per cui egli scrive il salvacondotto mentre lei, Floria, gli sottrae la fatidica “lama” da sotto il naso. Infine, il vestito con strascico sul davanti la sera del 17 l’ha quasi fatta inciampare prima del DO acuto, quello e sempre della “lama” appunto. E meno male che Cavaradossi l’ha agguantata per un pelo ed ha risolto “con scenica scienza” una movenza che poteva farla franare al suolo.
E dunque si passi alla parte squisitamente musicale. Bene, benissimo l’orchestra ed il coro, bimbi compresi ed istruiti sempre da Claudio Fenoglio. Palumbo impone un ritmo narrativo serrato, assai coinvolgente a discapito di qualche dinamica di grande effetto, ma che tende a coprire le voci anche perchè queste non godono dell’ausilio dell’acustica, vuoi per le deficenze congenite della sala vuoi per l’apertura della scena, di fatto senza possibili rimando sonori.
Detto ciò il cast è parso praticamente perfetto: dal giustamente acerbo pastorello intonato dalla voce candida di Fiammetta Piovano, al solerte carceriere di Lorenzo Battagion, al sonoro e preciso Sciarrone di Nicolò Ceriani, al puntuale e mellifluo Spoletta di Luca Casalin. Bravi assai sia il divertente e mai caricato Sagrestano di Roberto Abbondanza e, soprattutto, il nobile Angelotti ricco di buone intenzioni di Gabriele Sagona.
Roberto Aronica, Cavaradossi, si offre in forma smagliante, con un canto maschio, ma morbido e sfumato, da vero artista ed innamorato: applausi meritatissimi sia dopo “Recondita armonia” che dopo “l’addio alla vita”. Ma è piaciuto particolarmente nei due duetti con Tosca e in un “Vittoria, vittoria” squillante e tenuto con spavalda irruenza. Non meno bravo, seppure castigatissimo dalla risibile regia, lo Scarpia di Carlos Alvarez, pure lui in forma poderosa e facente sfoggio di un timbro baritonale di estrema bellezza e seduzione. Il canto, poi, è motivato ed incisivo, tenuto con estrema morbidezza e senza scivoloni nel truce parlato, che è sempre in agguato in chi si dimentica della statura pur sempre nobiliare del terribile barone. L’interprete possiede l’arma della bella presenza che ne fa un rivale plausibile dello sfortunato pittore e che potrebbe indurre in tentazione la pur innamoratissima e fedelissima Tosca. I suoi prossimi impegni in Italia, a Milano ed alla Scala, sono appuntamenti da non mancare: ineludibili.
Bella e brava assai pure Maria José Siri, cui la regia impone specie nel primo atto un fare bamboleggiante e da ingenua (la si vorrebbe “ingannata” da tutti, facendone di fatto la “scema del villaggio”) fanciullina, adolescente e frivola, trascurando il “Piccolo” dettaglio che si tratta comunque di una “Diva” in carriera, nell’originale testo teatrale di Sardou e ancor più per la musica di Puccini. Poi, dal terzo atto e con lo scontro reale con la brutalità libidinosa di Scarpia, la Siri si libera finalmente da questa improbabile impostazione, prende il sopravvento la donna, innamorata sì, ma decisa ed eroina nel vero senso del termine. Il suo “Vissi d’arte”, salutato da un applauso interminabile, valga come esempio di un legato esemplare, di una tenuta magnifica nelle mezzevoci e di un canto sul fiato da mozzafiato, appunto. Stupenda in tutto il terzo atto, compreso il fulgore del DO della “lama”.
Teatro stipatissimo in ogni ordine, pubblico assai generoso negli applausi e felicemente soddisfatto dell’esito della serata. Buon segno!
L’OCCASIONE FA IL LADRO
ossia il cambio della valigia
Burletta per musica in un atto di LUIGI PRIVIDALI, dalla commedia Le prétendu par hasard di EUGÈNE SCRIBE
Musica
GIOACHINO ROSSINI
Edizione critica della Fondazione Rossini di Pesaro in collaborazione con Casa Ricordi srl, Milano
a cura di Giovanni Carli Ballola, Patricia B. Brauner, e Philip Gosset
Maestro concertatore e direttore: Alessandro D’Agostini
Regia: Andrea Cigni
Personaggi Interpreti:
- Don Eusebio, zio di Berenice: Alessandro Vannucci (18, 20, 21), Davide Zaccherini (19)
- Berenice, promessa sposa del Conte: Nao Yokomae (18, 19, 21), Hyung Shin Kwon (20)
- Conte Alberto: Lorenzo Caltagirone (18, 20), Manuel Amati (19, 21)
- Don Parmenione: Jaehong Jung (18, 19, 21), Fumitoshi Miyamoto (20)
- Ernestina: Marta Di Stefano (18, 20), Federica Cacciatore (19, 21)
- Martino, servo: Nicolò Donini (18, 19, 21), Abraham Garcia Gonzalez (20)
Scene : Dario Gessati
Costumi: Simona Morresi
Luci: Fiammetta Baldiserri
Maestro al fortepiano: Riccardo Mascia
ORCHESTRA DEL CONSERVATORIO DI MUSICA “ARRIGO BOITO” DI PARMA
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Quella del Teatro Regio di Parma è stata una sorta di recita finale di Conservatorio, realizzata con gli allievi del locale “Arrigo Boito”, coordinati dai Maestri Lello Capilupi e Donatella Saccardi. Lode dunque ai bravi preparatori perchè, da un punto di vista musicale, tutti erano assai ben preparati. Pure l’orchestra del Conservatorio, ubbidiente alla bacchetta di Alessandro D’Agostini, si è fatta onore. Del resto, meglio azzardarsi con queste divertenti farse rossiniane che rischiare con un repertorio, magari più popolare nella “verdissima” Parma, ma assai più difficile a far passare specie ad un pubblico che con Verdi, ed il cosidetto “repertorio” in generale, è assai esigente e anche molto competente.
Spiace, però, che la sala fosse piena a metà, anche se i presenti – tra cui per I frequenti applausi a scena a aperta si sono intuiti molti compagni di squadra degli “esaminandi” interpreti – hanno accolto con gioia e con il sorriso sulle labbra il bel lavoro svolto.
Tra gli interpreti del primo cast (un secondo cast alternativo si è alternato nelle quattro recite previste) due gli orientali (il programma non specifica le nazionalità) per i ruoli rispettivamente di Don Parmenione, baritono, Jaehong Jung che dal cognome si ipotizza koreano e di Berenice, il soprano Nao Yokomae che ad occhio si direbbe giapponese. La seconda con un materiale vocale di scarsa grana, ma da dalla voce estesa e facile all’acuto ed anche piuttosto sciolta nelle agilità. Il secondo con un colore opportuno per un ruolo sostanzialmente buffo, ma di scarsa proiezione ed arruffato nella pronuncia. Entrambi, spiace sottolinearlo, interpretativamente piatti nonostante il lodevole impegno e lo sforzo dimostrato. E’ inutile, la sensazione è che recitino e cantino a pappagallo e che non abbiano mai reale coscienza della parola cantata.
Molto più a loro agio gli italiani, iniziando dal tenore Alessandro Vannucci nel ruolo caricaturale dello zio di Berenice, Don Eusebio, costretto sulla sedia a rotelle dalla spiritosissima regia. Voce squillante che ha avuto un bell’impiego nel pur episodico personaggio. Bella vocalità pure quella del tenore Lorenzo Caltagirone, nel ruolo del romantico (e sbadatissimo) Conte Alberto. Una voce in fase di maturazione tecnica e di espansione, ma già dosata con intelligenza che promette bene per il prossimo futuro. Benissimo l’Ernestina intonata con scanzonata e vivace partecipazione dal mezzosoprano Marta Di Stefano e, più simpatico tra tutti, l’ottimo servo Martino del giovanissimo basso-baritono Nicolò Donini che sin dagli esordi si dimostra, oltre che valido cantante, un animale da palcoscenico. Si nomini, infine, il bel lavoro del Maestro Riccardo Mascia dal fortepiano, che si è prodigato in un accompagnamento ideale dei recitativi secchi dal fortepiano, con personalissimi guizzi di inventiva nelle allusive citazioni.
Ma soprattutto ha convinto l’intelligente, e nel contempo raffinata, regia di Andrea Cigni, anche grazie agli sgargianti costumi cromaticamente azzeccatissimi di Simona Morresi, alla scena molto originale e sorprendentemente funzionale di Dario Gessati, alle luci perfettamente dosate da Fiammetta Baldisseri. L’idea vincente è stata di anticipare la farsa rossiniana con un film muto in bianco e nero, girato a Parma e dintorni, che prende l’avvio con la partenza dei protagonisti maschili, Don Parmenione e Martino da un lato e il Conte Alberto dall’altro, proprio dal Teatro Regio per raggiungere Napoli… in tandem ed in bicicletta!
I tipi, che poi si ritrovano in carne ed ossa prima nella locanda e quindi nella casa di Don Eusebio, realizzate entrambe con una gigantesca riproduzione della valigia o baule scambiati per errore, ricordano i Chaplin, i Ridolini, Stanlio ed Ollio, lo svanito e romantico Harold Lloyd del bel tempo andato. Berenice, in mezzo a loro, vi fa la parte della “fidanzatina d’America” Mary Pickford.
Il gioco ironico e surreale si sposa benissimo con il “non sense” rossiniano, laddove i travestimenti sono chiari a tutti sin dall’inizio e dove tutti, alla fin fine, recitano sè stessi con totale credibilità nella apparente follia organizzata.
Da tempo non si rideva di gusto in teatro: spettacolo da replicare. E’ un ordine!
Andrea Merli