Giovanna d’Arco Teatro alla Scala 7 Dicembre 2015
Giovanna d’Arco
Giuseppe Verdi
Coro e Orchestra del Teatro alla Scala
Nuova produzione Teatro alla Scala
Direttore: Riccardo Chailly
Regia: Moshe Leiser – Patrice Caurier
Personaggi e Interpreti:
- Carlo VII: Francesco Meli
- Giovannna: Anna Netrebko
- Giacomo: Devid Cecconi
- Talbot: Dmitry Beloselski
- Delil: Michele Mauro
Scene: Christian Fenouillat
Costumi: Agostino Cavalca
Luci: Christophe Forey
Video: Etienne Guiol
Movimenti coreografici: Leah Hausman
“Pochi versi”, come il mio omonimo Chenier, a caldo dopo la “prima” vista in diretta televisiva e in attesa, il prossimo giovedì 10 dicembre, di assistere dal vivo alla seconda recita con la speranza che, in pochi giorni, il bronchitico Carlos Alvarez, previsto nella parte baritonale di Giacomo, padre traditore pentito della Polzella, si rimetta in salute ed adempia al suo impegno.
Nel frattempo onore e gloria, sperando sia per lui l’inizio di una brillante carriera, al 44enne Devid Cecconi, previsto cover e lanciato in tre giorni alla ribalta. Coraggio e determinazione non gli mancano ed è auspicabile che il valente baritono toscano colga l’occasione di essere balzato dalla panchina cui era destinato al fulgore dei riflettori della “prima” e della cronaca, per curare meglio il legato ed un’emissione che, in TV almeno, sono parsi i suoi talloni d’Achille in un’organizzazione vocale, comunque, di tutto rispetto. Mettiamo in conto i nervi e la tensione dell’inaspettato debutto e tributiamogli un incoraggiante applauso di benvenuto. Poi, si sa. Se son rose … speriamo che fioriscano presto e senza spine!
In gran forma Francesco Meli, reduce dal debutto di ruolo – nientepopodimeno che Carlo VII di Francia – in quel di Salisburgo e che alla Scala ieri sera ha confermato le sue innegabili doti che lo pongono ai vertici, non solo in Italia, del settore tenorile. Voce ben emessa, colore stupendo, fraseggio ardente, accento scolpito, convincente nel ruolo sebbene ridotto dalla regia ad una sorta di uomo di latta dipinto dalla Ferrero Rocher… mamma mia! Cantare ed agire in quelle condizioni. A lui tutto il sostegno morale e la umana comprensione.
Stupenda, oltre ogni più rosea speranza, la prestazione di Anna Netrebko, giustamente festeggiatissima a fine recita. Non oso immaginare, ma lo sentirò tra due giorni, l’effetto in teatro di una voce che si conosce sonora e ricca di armonici. Il ruolo le sta a meraviglia. Che poi tutto sto discutere sulla “bruttezza” dell’opera! Come giustamente ha osservato Alberto Mattioli nell’intervista pre spettacolo, si tratta di un Verdi “minore, certo non minimo”. E bene ha fatto il Maestro Chailly – lode pure alla sua infiammate direzione, alla splendida orchestra ed al meraviglioso coro – a sottolineare tutte le anticipazioni e citazioni di cui Verdi profuse la partitura, da lui sempre difesa a spada tratta dal debutto nel 1845 all’ultima recita scaligera del 23 settembre 1865… motivo per cui l’annunciatrice, per deformazione professionale, ha detto che l’opera “non andava IN ONDA alla Scala da 150 anni”! Indifendibile, caso mai, è il libretto di cui tutti ricordiamo gli ineffabili “versetti satanici”: Tu sei bella, tu sei bella / Pazzerella che fai tu? / Non è brutto quel per tutto / vien costrutto, Belzebù / Quando agli anta l’ora canta / pur ti vanta di virtù. Che oggi più di allora non sfigurerebbero quale improbabile inno gayo.
Due parole, sulla produzione: spettacolo risibile. Eppure si è lavorato a quattro mani registiche: Moshe Leiser e Patrice Caurier, ci si è avvalsi della scena fissa (e del trovarobato di mobili) di Christian Fenouillat, dei costumi (personalmente ho trovato graziosi i diavolacci ingobbiti, ma forse più adatti all’Orfeo di Offenbach) firmati da Christophe Forey e delle video proiezioni di Etienne Guiol. Molto rumore per nulla. Eppure, a quanto si è sentito, il pubblico ha gradito: meglio così.
Sembra che il dispiegamento di forze dell’ordine sia stato imponente, per via delle temute minacce dell’Isis. Ciò non ha impedito uno show fuori programma, a malapena intravisto nel buio dalla prime file di platea e nella ripresa televisiva. Mentre la protagonista usciva da sola alla ribalta, subito dopo la discesa del sipario, per ricevere i primi e trionfali applausi, agile come una gazzella – si è poi scoperto trattarsi della celebre trans di origine turca Efe Bal, nota appunto come “la cerbiatta” ed autrice del libro “Quello che i mariti non dicono”, moto femminile d’aspetto e risaputamente dotata di un pene di grosse proporzioni – una fanciulla scavalcava il parapetto che separa la platea dal golfo mistico e rapidamente raggiunta la base della buca del suggeritore dispiegava uno striscione con su scritto “Legalizzate la prostituzione”.
Che aggiungere? Il fatto si commenta da solo. Ai nostri lettori l’ardua – si fa per idre – sentenza!
Andrea Merli