Sassari – DON GIOVANNI – W.A.Mozart 30 Ottobre 2015
Don Giovanni
Dramma giocoso in due atti KV527 su libretto di Lorenzo Da Ponte
Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore d’Orchestra: Gaetano D´Espinosa
- Don Giovanni: Alessandro Luongo
- Il Commendatore: Abramo Rosalen
- Donna Anna: Gilda Fiume
- Don Ottavio: Blagoj Nacoski
- Donna Elvira: Elisabetta Farris
- Leporello: Roberto Accurso
- Masetto: Daniele Caputo
- Zerlina: Vittoria Lai
Assistente alla regia: Dìdac Castignani
Scene: Paco Azorìn
Costumi: Domenico Franchi
Disegno Luci: Pedro Chamizo
Video: Alessandro Arcangeli e Pedro Chamizo
Coreografia: Carlos Martos
Allestimento: Nuovo allestimento Ente Concerti Marialisa de Carolis
Orchestra Ente Concerti Marialisa de Carolis
Coro: Corale Luigi Canepa
Maestro del Coro: Luca Sirigu
Con la nuova produzione di Don Giovanni l’Ente Concerti “Marialisa De Carolis” ed il suo direttore artistico Marco Spada hanno messo a segno un altro successo, dopo quello ottenuto con la coraggiosa “rarità” rossiniana, la precedente Elisabetta, regina d’Inghilterra, novità per la Sardegna intera. Di nuovo ci si affida ad un cast sostanzialmente giovane e di quasi tutti debuttanti. Iniziando dal regista e scenografo catalano Paco Azorin, elemento emergente in Spagna e giustamente carpito, con astuta lungimiranza, a Sassari debuttando, così, pure in suolo italico.
L’eco del recente successo di un suo Otello verdiano al Festival di Peralada, si è amplificato e notevolmente con questa messa in scena che ha colpito per l’aderenza al libretto, per il rispetto della musica e per un non scontato approfondimento del mito del Burlador di Siviglia, risalendo all’originale di Tirso de Molina del 1612 e annotandone quelle caratteristiche atemporali, ma ben precise, di un Prometeo condannato all’immortalità suo malgrado. Immortalità a cui pure il “libertino dissoluto” di Da Ponte e Mozart non riuscirà più a sottrarsi in un’inarrestabile corsa a ritroso contro il tempo. Il tutto è chiarissimo nella lettura di Azorin, che fa uscire Don Giovanni da una botola, in veste seicentesca e tutto impolverato per poi ripiombarvici trascinato dal Commendatore. La scena unica prevede un orologio proiettato sul pavimento; è fissa e corporea, ma in continuo movimento rotatorio come quello innarrestabile delle lancette, costituita da una serie di porticati su cui sono state proiettate immagini video realizzate da Alessandro Arcangeli e Pedro Chamizo, quest’ultimo autore pure del disegno di luci. Si aggiungano gli efficaci costumi disegnati da Domenico Franchi, identificabili con gli anni Sessanta dello scorso secolo per quanto riguarda le donne, i movimenti coreografici – una danza flamenca erotizzata nel quadro finale del primo atto – con cui Carlos Martos ha indirizzato anche i movimenti dei solisti. Azorin ha una personalità identificabile e rimanda, specie nel tratteggio di Donna Elvira, alla cinematografia spagnola recente capitanata da Almodovar. Inoltre è parso notevole il lavoro sul singolo e con le masse, – il coro “Luigi Canepa” istruito come sempre con cura da Luca Sirigu – e la capacità di individuare i diversi caratteri.
Il Commendatore, che ci appare fin dall’inizio ormai “statua” bianco vestito, e qui ben interpretato dal valente basso Abramo Rosalen, giunto a spron battuto per sostituire un collega ammalatosi improvvisamente, l’ingenuità di Masetto, il promettente Daniele Caputo che ha reso il personaggio con una brillantezza da “bel Sigismondo” de Al cavallino bianco, la malizia di Zerlina, una sorprendente Vittoria Lai, soprano con voce bene in punta e pepatissima oltre che sexy nella sua mise di sposa in mini gonna, la mal sopita sessualità di Donn’Anna, l’ottimo soprano Gilda Fiume perfettamente in parte che ha superato con facilità le agilità delle sue difficili arie e la algida, un po’ annoiata, nobiltà di Don Ottavio, qui il tenore macedone, ma italiano d‘addozione, Blagoj Nacoski, veterano del ruolo, vocalmente elegante, misurato e stilisticamente impeccabile.
Divertentissima la caratterizzazione di Donna Elvira – non dimentichiamo che è moglie di Don Giovanni – trasformata in una sorta di Petronilla furente, ma con le impennate tutte iberiche dell’attrice Rossy De Palma. Bravissima Elisabetta Farris, soprano dalla voce pure notevole non meno che il temperamento. Dove il lavoro registico è parso ancor più lodevole è parso sui due veri motori di tutto il “dramma giocoso”, ideali sia fisicamente che vocalmente quali alter ego l’uno dell’altro in un gioco di competizione artistica e canora. Alessandro Luongo, baritono toscano ormai affermatosi nei palcoscenici più importanti, fa di Don Giovanni il suo cavallo di battaglia e, sinceramente, oggi su piazza ce ne sono pochi che possano reggere il suo confronto. Altero, arrogante, bello quando impone la parte del “perfetto seduttore”, seppure sfortunato ed inconcludente per tutto il corso d’opera. Vocalmente lo strumento è altrettanto notevole, per ampiezza di suono, autorevolezza nella linea e tecnica ferrata. Si sommi la naturalezza nella recitazione, che ormai domina con padronanza e si concluda con il successo trionfale che ha coindiviso con il debuttante Leporello di Roberto Accurso, baritono di ormai lunga e sperimentata carriera internazionale, specializzatosi in ruoli di fianco, ma pure lui provvisto di doti vocali assolutamente all’altezza delle prime parti, come del resto si è potuto riupetutamente constatare proprio qui a Sassari in precedenti edizioni di Lucia di Lammermoor e de I Puritani. Una presa di ruolo felicissima, in virtù della maturità dell’interprete che del fedele servo ha reso i mille stati d’animo e che la regia ha saputo sfruttare in tutte le sue potenzialità. Ne è scaturito un personaggio a tutto tondo, ricco di sfumature vocali ed interpretative.
Buona la prestazione dell’orchestra, salvo qualche perdonabile sbavatura ai corni, obbediente alla bacchetta di un altro debuttante, il pur giovane Gaetano D’Espinosa, che ha affrontato con piglio sinfonico e determinazione la colossale partitura, aderendo perfettamente allo stile e mettendo in evidenza atmosfere e preziosità di cui è profusa la partitura di Mozart. Qualche slentatezza e ritardo negli attacchi sono imputabili al ristretto numero di prove – l’opera è stata montata in soli 15 giorni che, onestamente, per Don Giovanni sono pochi – ma hanno inciso poco o nulla nella definzione di uno stupendo quadro che il pubblico, numerosissimo e particolarmente generoso di applausi, ha dimostrato di gradire quasi all’unanimità. Due isolati “buh”, diretti al regista, fanno parte del pegno che si paga spesso per ottenere un più convinto riconoscimento del lavoro eseguito.
primo atto (30 ottobre 2015)
secondo atto (30 Ottobre 2015)