MADRID: Maria Stuarda – Gaetano Donizetti, 29 e 30 dicembre 2024

MADRID: Maria Stuarda – Gaetano Donizetti, 29 e 30 dicembre 2024

MARIA STUARDA 

Tragedia lirica in due atti

Musica di Gaetano Donizetti (1797-1848)

Libretto di Giuseppe Bardari, basato sulla traduzione di Andrea Maffei dell’opera Maria Stuarda , di Friedrich von Schiller

Debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 30 dicembre 1835

Prima al Teatro Real

Nuova produzione del Teatro Real, in coproduzione con il Gran Teatre del Liceu, il Donizetti Opera Festival – Bergamo, La Monnaie/De Munt di Bruxelles e l’Opera Nazionale Finlandese (Suomen kansallisooppera ja -baletti).


Direzione musicale  Jose Miguel Pérez-Sierra

Regia e costumi aggiuntivi  David McVicar

Personaggi e Interpreti:

  • Elisabetta Aigul Akhmetshina, Silvia Tro Santafé
  • Maria Stuarda  Lisette Oropesa, Yolanda Auyanet
  • Robert, conte di Leicester  Ismael Jordi, Airam Hernández
  • Giorgio Talbot Roberto Tagliavini, Krzysztof Baczyk
  • Lord Guglielmo Cecil Andrzej Filonczyk, Simon Mechlinski
  • Anna Kennedy Elissa Pfaender, Mercedes Gancedo

Scenografia Hannah Postlethwaite

Costumi Brigitte Reiffenstuel

Luci Lizzie Powell

Direzione del movimento Gareth Mole

Direzione del coro  José Luis Basso

Coro e Orchestra del Teatro Real

Teatro Real, 29 / 30 dicembre 2024


 Non potevo scegliere modo migliore per chiudere il 2024 operistico. Le ultime due recite di Maria Stuarda, capolavoro donizettiano in programma al Teatro Real di Madrid, sembravano messe lì apposta ad attendermi.

L’opera è stata eseguita per la prima volta nel teatro madrileño. Presentata in un nuovo allestimento che nasce in coproduzione con il Liceu di Barcellona, La Monnaie di Bruxelles, l’Opera Nazionale  di Finlandia e che si vedrà pure al Festival Donizetti di Bergamo prossimamemte. Lo firma David McVicar per la regia e in parte per i costumi ideati con Brigitte Reiffenstuel, mentre l’imponente scenografia è di Hannah Postlethwaite e la perfetta illuminazione opera di Lizzle Powell. Contribuisce al movimento delle masse, coro e figurazione, Garet Mole. Si tratta di uno spettacolo suggestivo, fedele all’epoca e alla drammaturgia dell’opera, curato nei dettagli e nella recitazione, di indubbio fascino. La scena è praticamente spoglia – alcuni elementi, tavoli, scranni si “materializzano” con calibrati movimenti da sotto il palco – dominata da un enorme globo crucigero, evidente simbolo del potere conteso tra le due regine, che scende dal soffitto nel corso dell’opera fino a frantumarsi, rimanendo visibile solo la croce, nella scena finale della decapitazione della regina di Scozia. McVicar coglie così l’anima di questa singolare opera, ispirata sì al modello di Schiller tradotto dal Maffei nel libretto del Bardari che creò non pochi problemi di censura con la fatidica scena dell’incontro tra le due coronate a fine primo (un tempo secondo) atto – quando nella realtà storica non si incrociarono mai – dove la lotta per il potere, lo scontro politico tra le due religioni, cattolica quella di Maria e protestante quella di Elisabetta, si pongono in primo piano rispetto alla debole liaison amorosa di cui Leicester, non a caso tenore, si rende colpevole. Ne scaturisce uno stagliarsi monumentale della vittima, senza precludere alla vincitrice l’insicurezza del potere e la delusione dell’amore. Una sorta di Don Carlo ante litteram, un unicum nell’intera produzione donizettiana che sfugge al classico triangolo melodrammatico soprano, tenore e baritono nel confronto tra le due donne, lasciando ai maschietti un ruolo tutt’altro che marginale musicalmente, ma drammaturgicamente di secondo piano.

Alla centratissima lettura registica corrisponde una non meno precisa, chiarificatrice e coinvolgente musicale. In grande spolvero l’ottima orchestra del Teatro Real e l’applauditissimo Coro “Intermezzo”, magnificamente diretto dal Maestro José Luis Basso; dopo un’esecuzione emozionante e calibratissima del “Inno alla morte”, che indubbiamente anticipa il più celebre “Va pensiero” verdiano, il pubblico è esploso in autentiche ovazioni. Lode incondizionata al Maestro José Miguel Pérez-Sierra che si conferma una delle più interessanti bacchette non solo in ambito nazionale e per il repertorio nazionale (ricordiamo che egli è il Maestro titolare dell’altro teatro madrileño, quello de La Zarzuela) non solo per il piglio deciso del gesto direttoriale, ma per la grande capacità di mettersi al servizio delle voci senza, per altro, rinunciare ad una lettura personale e di grande presa drammatica. L’opera si esegue praticamente nella sua integrità con l’aggiunta della sinfonia, pagina molto bella, tra le più riuscite tra le sinfoniche di Donizetti. L’abilità di Pérez-Sierra si dimostra soprattutto nel aver accompagnato idealmente due cast, entrambi interessanti, ma sostanzialmente di caratteristiche diverse, specie riguardo alla protagonista. Non è da poco, laddove spesso vige il criterio “chi mi ama mi segua” senza tener conto delle diversità degli interpreti, senza respirare, letteralmente, con loro, cercando piuttosto di valorizzare al massimo i loro meriti.

Due protagoniste eccezionali entrambe, ma quasi agli antipodi l’una dall’altra. La sera del 29 abbiamo molto apprezzato Lisette Oropesa, al suo debutto di ruolo in una parte che sulla carta potrebbe presentare qualche difficoltà per la sua voce squistamente lirico-leggera. Gli scogli in zona centrale e grave sono stati superati arditamente e senza sforzo apparente – soprattutto senza cercare inutili affondi – brillando di suo con estrema facilità sia in acuto che in zona sovracuta, abbondanetmente elargita con ricchezza nelle cadenze, dimostrando una tecnica ferratissima nel canto di agilità, nelle colorature e variando con estremo gusto le ripetizioni delle strette. Dovendo cercare più che un paragone un esempio, essa si muove nella linea di una Sills, svelando il lato patetico sentimentale del personaggio. Ça va sans dire ha ottenuto un trionfo personale meritatissimo.

Dal canto suo, la sera seguente, Yolanda Auyanet, il soprano canarino di lunga carriera che questa parte ha già abbondantemente metabolizzato nel corso di diverse recite, a Parma e a Genova tra l’altro, s’impone per un temperamento, un’interpretazione appassionata e teatralmente imponente. La voce, che risponde ancora e sempre con grande sicurezza nell’estremo acuto preso di forza e sostenuto da un’emissione impeccabile, ha un corpo, una consistenza da lirico spinto, perfettamente idonea alla vocalità richiesta, pur mantenendo la duttilità di piegarsi in pianissimo, pregevoli messe in voce e dotata di un legato di alta scuola. La “sua” Maria esplode, letteralmente, nel secondo (il terzo delle vecchie versioni) atto, dalla confessione con Talbot in poi, con la sublime preghiera sostenuta assieme al coro, fino alla tragica scena finale. La Auyanet mi ha riportato all’adolescenza, quando in quest’opera – correva il 1969 – ascoltai la Caballé al Liceu: una voce scesa dal cielo con suoni flautati che, effettivamente, parevano provenire da un altro mondo. Ogni paragone è del tutto superfluo, ma chi l’avrebbe mai detto? Mi sono commosso! E con me gran parte del pubblico che, pure a lei, ha decretato applausi interminabili.

Molto curato il resto del cast, iniziando dalle due Elisabette: l’emergente mezzo soprano russo Aigui Akhmetshina, dal mezzo vocale rapinosamente bello e imperioso, duttile vocalmente, ma – ahinoi – l’italiano andrebbe pronunciato meglio e la parola cantata dovrebbe giungere chiara, non in un abborracciato vocalizzo. Molto meglio la professionale, ineccepibile Silvia Tro Santafé, perfetamente a suo agio con la tessitura acuta – la parte è sostanzialmente da seconda soprano – senza inutili forzature e soprattutto con una presa del personaggio incisiva per fraseggio ed accento. Dei due Leicester si è apprezzato prima l’elegante, sia vocalmente che per portamento scenico, tenore andaluso Ismael Jordi la cui pertinenza stilistica è fuori discussione, caratterizzata da un canto morbido, sempre sul fiato, con ricchezza di suoni calibrati in mezze voci e dolce emissione, senza problemi nell’arduo settore acuto che la partitura impone; poi il temperamentoso e assai valido tenore di Tenerife Airam Hernández, giovane da seguire con attenzione: bel timbro latino, caldo e sanguigno, interprete generoso e anche baldanzoso scenicamente. Anche in ciò si è apprezzata la scelta dell’accostamento alle due protagoniste, poiché entrambi erano perfettamente all’unisono con le rispettive partner.

In ruoli tutt’altro che marginali, seppure sprovvisti come del resto il tenore di un’aria (anche in ciò sta la modernità di quest’opera, che “guarda avanti” nella sua complessità e che personalmente considero la più interessante della cosidetta Trilogia Tudor) le parti di Talbot, il basso, che ha trovato in Roberto Tagliavini un interprete di lusso, emergendo benissimo nei duetti col tenore al primo atto e poi col soprano nel secondo, oltre a partecipare con autorevolezza nei concertati. Meno convincente il monumentale Krzysztof Baczyk, basso polacco di voce sonora, ma un po’ sofferente in acuto e non sempre intonatissimo. La parte del perfido Cecil è affidata al timbro baritonale; si sono difesi con onore tanto Andrzej Filonczyk, che Simon Mechlinski. Benone anche i due mezzosoprano nella parte di Anna Kennedy: l’americana Elisa Pfander e la spagnola Mercedes Gancedo.

Successo al calor bianco in entrambe le serate, a teatro stracolmo.

Andrea Merli

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