L’ELISIR D’AMORE – Teatro alla Scala, 28 settembre 2015
Gaetano Donizetti
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Produzione Teatro alla Scala
Direttore: Fabio Luisi
Regia: Grischa Asagaroff
Scene e costumi :Tullio Pericoli
Luci :Hans Rudolf Kunz
CAST:
Adina: Eleonora Buratto
Nemorino: Vittorio Grigolo
Belcore: Mattia Olivieri
Dulcamara: Michele Pertusi
Giannetta: Bianca Tognocchi
Attore: Jan Pezzali
Spentisi i fari e le telecamere all’aereoporto di Malpensa, dove è andato in onda, più che in scena, un Elisir “anomalo” in forma di Flash Mob – si dovrebbe specificare “finto” Flash Mob, poiché quello “vero” nasce senza clangori mediatici per la sorpresa degli astanti, passeggeri frettolosi di arrivare e partire, nello specifico – si torna alla routine, mai meglio detto, nella vetusta Sala del Piermarini con uno spettacolo sostanzialmente tradizionale.
Quello disegnato tanti anni fa – se n’è perduto il conto – dal poetico e naif, ad un tempo, Tullio Pericoli. Allestimento ora ripreso con la mano sinistra ed una certa svogliatezza da Grischa Asagaroff.
I siparietti arborescenti, le prospettive sbilenche, i costumi alla Sergio Tofano (per i più anzianotti, il famoso Signor Bonaventura) il cinghialetto che attraversa due volte la scena, erano finiti nella soffita dei ricordi e forse, proprio per serbarli cari e belli, i ricordi, era meglio lasciarli là.
Comunque, una volta messa mano all’allestimento “vintage” ci sarebbe voluta una regia più spiritosa, magari anche un po’ surreale, in tono con la parte visiva. Nulla di tutto ciò. Qualche passo di danza (mal)accennato dalla figurazione e per il resto movimenti stereotipati, nel migliore dei casi, affidati alla capacità del singolo. Quanto meno si sarebbe potuto evitare che Belcore, prima di attaccare l’aria di sortita, si aggiustasse platealmente il … pacco. Un tic ripetuto almeno un’altra volta in corso di recita.
Sul versante musicale le cose non è che siano andate molto meglio. Sebbene, va subito detto, il pubblico accorso numeroso ed in gran parte straniero, pur essendo il turno C, abbia alla fine tributato un successo che ha coinvolto tutti e soprattutto il “divo” della serata, motivo di indubbio richiamo: Vittorio Grigòlo.
A Cesare quel ch’è di Cesare: è stato lui il vero motore di tutta la recita. Inaspettatamente più contenuto nella sua nota esuberanza scenica, ha tratteggiato un Nemorino credibile quale innamorato, certo non tontolone, anzi vispo come un Giamburrasca appena uscito dal Collegio Pierpaoli. E’ dunque simpatico a tutti e dotato di una voce che si impone e per armonici e per qualità timbrica. Paga, sì, il prezzo della sua irrefrenabile vivacità, con un canto fin troppo estroverso, il ché personalmente ed in questo ruolo non spiace, ma è pure capace –udite, oh rustici!- di mezze voci, di canto a fior di labbra e di essere “amorevole”, come il famoso amaro del bel tempo andato, siglando una “Furtiva lagrima” che ha fatto, letteralmente, venir giù il teatro. Alla ribalta finale, poi, lo show a cui da tempo ci ha abituati: braccia al cielo in puro stile Osiris, ginocchio a terra e bacio al suolo, cuore lanciato al loggione. Per il delirante piacere di quest’ultimo che non si è certo risparmiato nel urlargli “bravo”!
Qui finiscono le note più liete. Riconosciuta la salda tenuta e gran professionalità di Michele Pertusi, artista che non ha bisogno né di appelli né di difesa, va detto che Dulcamara (questo di Pericoli & C. almeno) non è un personaggio che metta in risalto le pur grandi qualità. Troppo nobile per rendere appieno la comicità straripante e truffaldina del personaggio. Durante la Barcarola che apre il secondo atto, è vero, riesce ad interpolare con abilità incredibile il fischio alle parole, quasi il Senator Tredenti della canzonetta avesse un problema con la dentiera. Ciò nonostante si continuerà a prediligerlo nei prediletti ruoli rossiniani, ci si riferisce a Mustafà e a Selim, che attingono ad altro stile.
Eleonora Buratto, Adina, dotata di una voce dal timbro pregevole di soprano lirico, della scaltra contadinotta non coglie appieno la verve e pure le agilità le calzano strette. In più ha la tendenza a lanciare l’acuto aperto e gridato, peccato. Le riesce meglio il cantabile “Prendi per me sei libero” e, tutto sommato, è a posto nel rondò “Il mio rigor dimentica”, ma anche lei è parsa, sostanzialmente fuori ruolo.
Il Belcore del baldo Mattia Olivieri possiede indiscutibilmente le fisique du rol, ma ha iniziato stonando parecchio nella cavatina e si è ripreso durante il duetto col tenore, al secondo atto. Rimandato a settembre, si diceva una volta, ma settembre ormai è finito! Dignitosa, anzi bravetta, la Giannetta di Bianca Tognocchi, sicura negli acuti lanciati durante il concertato del secondo atto “E’ bellissima”. Insopportabile, piuttosto, la presenza continua del mimo, il pur bravo Jan Pezzali, con controscene del tutto gratuite.
E veniamo alla nota dolente, per certi versi sorprendente: la soporifera direzione di Fabio Luisi, a capo di un’orchestra che conosce ben altri risultati e di un coro piuttosto sdrucito negli attacchi. Della gran noia serpeggiante in gran parte è stata responsabile la bacchetta, che ha staccato, alternativamente, tempi lentissimi (per esempio nel duetto Adina Nemorino del primo atto) ad altri frenetici, passando da suoni quasi soffocati ad altri in cui i decibel soffocavano, viceversa, le voci. Anche in questo caso, è il caso di dire, l’Elisir non fa per lui.
Andrea Merli