PARMA: La forza del destino – Giuseppe Verdi, 18 settembre 2022
LA FORZA DEL DESTINO
Melodramma in quattro atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Don Álvaro o La fuerza del sino di Ángel Perez de Saavedra
Musica
GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di Philipp Gossett e William Holmes,
the University of Chicago Press, Chicago e Universal Music Publishing Ricordi srl, Milano
Maestro concertatore e direttore Roberto Abbado
Regia, scene e costumi Yannis Kokkos
Personaggi e Interpreti:
- Donna Leonora Liudmyla Monastyrska
- Don Alvaro Gregory Kunde
- Don Carlo di Vargas Amartuvshin Enkhbat
- Padre guardiano Marko Mimica
- Fra’ Melitone Roberto de Candia
- Preziosilla Annalisa Stroppa
- Mastro Trabuco Andrea Giovannini
- Il Marchese di Calatrava Marco Spotti
- Curra Natalia Gavrilan
- Un alcade Jacobo Ochoa
- Un chirurgo Andrea Pellegrini
Drammaturgia Anne Blancard
Luci Giuseppe di Iorio
Movimenti coreografici Marta Bevilacqua
Projection Designer Sergio Metalli
ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA
Maestro del coro Gea Garattini
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
In coproduzione con Teatro Comunale di Bologna, il Teatro Massimo di Palermo, Opéra Orchestre National Montpellier Occitaine
Teatro Regio, recita “Under 30”, 18 settembre 2022
Domenica 18 settembre ha avuto luogo al Teatro Regio di Parma la recita “Under 30”, vale a dire la prova generale aperta al pubblico più giovane, dell’inaugurale La forza del destino, qui nella versione Scala 1869, che il prossimo 22 inaugurerà ufficialmente il Festival Verdi 2022, e a quanto pare in un clima che si annuncia infuocato per le proteste dei loggionisti, e non solo, dovute alla scelta di impegnare orchestra e coro del Teatro Comunale di Bologna, con cui lo spettacolo per altro è coprodotto, escludendo le masse artistiche locali.
Il cast presenta un grande interesse, iniziando dal debutto nella parte di Don Alvaro – come suggerisce il titolo del dramma romantico di Saavedra il vero protagonista – di Gregory Kunde. Siamo di fronte ad un vero e proprio fenomeno vocale. Il percorso artistico di questo straordinario tenore, che ormai ha superato la considerevole soglia dei quaranta anni di carriera, passando dai ruoli di “contraltino” di Rossini, al Fa sovracuto dell’Arturo nei Puritani, giusto per citare una delle sue innumerevoli prodezze, al genere “spinto” del tenore verdiano, è sbalorditivo e non ha paragoni nella storia del Belcanto. Perché di ciò si tratta e cioè di seguire sempre una linea di canto esemplare anche nel repertorio “Verista” quale sarà, altro esempio, il suo prossimo debutto nei panni di Cavaradossi nella Tosca in scena tra poco al Teatro dell’Opera di Roma.
E ciò, si badi, alla soglia dei suoi… primi 68 anni, senza che la voce abbia perso potenza, proiezione e mantenendo un’estensione che molti trentenni gli invidiano. Frutto di una tecnica perfetta, ma anche esempio di saggia amministrazione di un materiale vocale che, per altro, non nasce privilegiato da un timbro baciato da Dio, come poteva essere quello di Pavarotti, per intenderci. Ogni sua apparizione in scena si trasforma così in una sorta di classe magistrale, dove il canto siempre “avanti”, gli acuti “in punta”, con uno “squillo” invidiabile . A tutto ciò si somma una partecipazione intensa da un punto di vista attoriale, grazie non solo alla mimica ed agilità scenica, ma per il fraseggio infuocato, il senso dato alla parola cantata, l’esposizione, dizione ed accento perfetti pari alla musicalità. Ciò che ha seguito l’aria “O tu che in seno agli angeli” è facile da immaginare: apoteosi.
Il baritono mongolo Amartushin Enkhbat, molto apprezzato a Parma per le precedenti apparizioni in ruoli verdiani, ha ripetuto l’impressionante Don Carlos de Vargas ascoltato e recensito nelle recite al Maggio Fiorentino circa un anno fa. Voce imponente, ricca di armonici, ben amministrata, colore brunito, scuro ma anche morbido e carezzevole, estensione invidiabile; come interprete sempre in crescita rimane un esempio ammirevole di fraseggio, accento e dizione anche per gli italiani. Anche il suo un trionfo annunciato.
Liudmyla Monastyrska, soprano ucraino, notevole Leonora di Vargas per la qualità della voce e per la abilità dimostrata nell’amministrarla sia nell’acuto lanciato di forza, che in pregevoli mezze voci e pianissimo. Una linea di canto un poco più controllata, comunque, le gioverebbe e pure una dizione più articolata e scandita. Rimane, però, una prova eccellente e giustamente molto applaudita dal giovane auditorio.
Molto bene il Padre Guardian del basso croata Markus Mimica; perfetta la distribuzione delle parti alle quali Verdi dava tanta importanza: incominciando dal Melitone, interpretato con sapidezza e caratterizzazione perfetta dal baritono Roberto De Candia non a caso anche ottimo Falstaff che il Frate brontolone anticipa; teatralmente efficace la Peziosilla della bravissima Annalisa Stroppa, un mezzosoprano in grado di risolvere vocalmente il ruolo insidioso da soprano Falcon mantenendo un ammirevole scioltezza scenica. Ottimo Trabuco il tenore Andrea Giovannini; un lusso disporre del basso Marco Spotti per la parte del Marchese di Calatrava più che sufficienti l’Alcalde di Jacobo Ochoa, la Curra de Natalia Gavrilan e il Chirurgo di Andrea Pellegrini.
Roberto Abbado, grande professionista e bacchetta sicura, ha proposto integralmente la versione dell’opera de 1869, per la Scala, con un bel senso del ritmo e senza cedimenti narrativi. Meno fortunata la parte scenica firmata in toto da Yannis Kokkos, dove la “drammaturgia” de Anne Blanchard non si è ben capito a cosa possa essere servita.
Una visione che potremmo definire eufemisticamente atemporale (sebbene anche quest’opera abbia una data: la battaglia di Velletri tra il 10 ed 11 agosto del 1744) poiché si è passati dalle daghe con cui si sfidano Alvaro e Carlo alla mitraglitrice Kalashnikov imbracciata da Preziosilla; nei costumi si è visto di tutto, dalle marsine ottocentesche alle tute di ginnastica e le mimetiche; la scenografia formata da silouettes storte fa tanto “Vintage anni 80” dello scorso secolo, luci perennemente in penombra, movimento delle masse quasi inesistente col coro quasi sempre immobile in proscenio, senza una riconoscibile recitazione dei solisti. Se questa passa per “tradizione” sian messi male.
Andrea Merli