TEATRO ALLA SCALA: Rigoletto – Giuseppe Verdi, 30 giugno 2022

TEATRO ALLA SCALA: Rigoletto – Giuseppe Verdi, 30 giugno 2022

RIGOLETTO

Giuseppe Verdi

 

 

Direttore Michele Gamba
Regia Mario Martone

Personaggi e Interpreti:

  • Duca di Mantova Piero Pretti
  • Rigoletto Amartuvshin Enkhbat
  • Gilda Nadine Sierra
  • Sparafucile Gianluca Buratto
  • Maddalena Marina Viotti
  • Giovanna Anna Malavasi
  • Monterone Fabrizio Beggi
  • Marullo Costantino Finucci
  • Matteo Borsa Francesco Pittari
  • Ceprano Andrea Pellegrini
  • Contessa Rosalia Cid
  • Paggio Mara Gaudenzi
  • Usciere di corte Guillermo Esteban Bussolini

Scene Margherita Palli
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Coreografia Daniela Schiavone
Maestro del Coro Alberto Malazzi

Nuova produzione Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Teatro alla Scala, 30 giugno 2022


Che la produzione di Rigoletto firmata da Deflò, scene e costumi della pregiata ditta Frigerio Squarciapino, apprezzata dal maggio 1994 e vista innumerevoli volte, fosse da mandare in soffitta (ma scommetterei che, come per la Traviata “della Cavani” non sia detta l’ultima) è opinabile, che una nuova produzione rispettasse l’imperante moda del regie theater era prevedibile se non inevitabile.

Rigoletto – photo Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Non si discute, anche perché si viene praticando da tempo immemorabile, la trasposizione in “tempi moderni”, poiché il capolavoro assoluto non teme reinterpretazioni, ma il forzarne la drammaturgia (il drammaturgo: questo personaggio che si aggira nei teatri d’opera e che quasi sempre è foriero di stravolgimenti) è intollerabile. Sempre a mio modestissimo avviso, in quanto superati i settanta non pretendo di aver ragione, con la  pazienza che si va esaurendo, sono stufo di dover far finta di essere intelligente.

Rigoletto – photo Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Altra cosa che non tollero è che per “capire” una regia si debba aver visto un film. Se da una parte è logico che oggi un compositore tragga spunto da film classici, e penso a Marco Tutino erede di una scuola italiana che nel passato prossimo ha avuto in Menotti ed in Rota gli esempi più significativi, così come Verdi e Piave a metà del XIX secolo fecero con Hugo, dall’altra pretendere che il pubblico abbia visto il film koreano “Parasite” per trovare una logica al finale inventato da Mario Martone, regista di indiscutibile talento che con la non meno talentuosa Margherita Palli scenografa, ha firmato lo spettacolo, mi pare come minimo pretestuoso.

Rigoletto – photo Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Questi due mondi separati, sopra i potenti debosciati e degenerati, sotto i non meno degenerati, ma impotenti diseredati, funziona in Rigoletto a senso unico. il Duca alcolizzato e sniffante cocaina non fa più notizia, specie dopo la storica edizione londinense ENO firmata da Jonathan Miller nel 1982, e dunque più vecchio di quello vecchio scaligero, ma che si avvaleva della provvidenziale traduzione inglese. Non è credibile una Gilda che vive circondata da malavitosi, iniziando dalla Giovanna prosseneta e seguendo con Sparafucile dal coltello a serramanico facile (“la spada se dorme” è una pistola) senza sapere che il padre è al servizio del signore che abita al piano di sopra e, soprattutto, uno spacciatore che tiene la “roba” nel cassetto delle posate in cucina. Insomma, Gilda emancipata, recalcitrante, imputtanita ed aggressiva, anche no, non con questa musica e con questo libretto. Che poi Martone lavori di bulino sui caratteri – con un horror vacui costellato da puttane che fanno il bidet e soffrono crisi isteriche da far sembrare, al confronto, Zeffirelli un “minimalista” – è del pari innegabile, così come è evidente che tutti gli interpreti sono assai convinti, perfettamente integrati nello spettacolo, compresa la bella Maddalena in bicicletta, rimando forse al film con Silvana Pampanini e Delia Scala. Meno il coro: il pur lodevolissimo coro del Teatro alla Scala, magistralmente istruito da Alberto Malazzi, a differenza dei cori “nordici” è formato da un gran numero di “over 50” – per carità, dei giovanotti visti dalla prospettiva dei miei prossimi 72 – più credibili, nonostante la volenterosa partecipazione attorale, nel teatro “tradizionale”.

Rigoletto – photo Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

La parte musicale si avvale della sempre eccezionale, specie in questo repertorio che potrebbe suonare senza guida, orchestra della Scala. A dirigerla con agogiche estreme, pianissimi evanescenti e clangore nelle strette,  per non parlare di un “Cortigiani” in cui è quasi riuscito a coprire il protagonista, ci pensa Michele Gamba, il quale a tratti corre, in altri rallenta, ma comunque riesce ad ottenere dai cantanti anche cose pregevoli.

Il cast è parso superlativo, finalmente all’altezza del massimo teatro italiano. Ottima la scelta delle parti di fianco, iniziando dal torbido Sparafucile dell’ottimo Gianluca Buratto e passando alla Maddalena impetuosa ed assai ben cantata di Marina Viotti. Una nota speciale la merita il non meno che eccezionale Monterone del basso Fabrizio Beggi, sia per l’autorevolezza del canto che per la pertinenza del fraseggio e dell’accento, incisivo e bruciante, oltre che per la perfetta caratterizzazione homeless imposta dalla regia.

Rigoletto – photo Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

Piero Pretti, Duca di Mantova ridotto a boss di quartiere giustiziato alla fine dai “parasites” assieme a tutti i suoi cortigiani, canta davvero bene: colori, intenzioni, dinamiche e un’estensione facile, sicura e potente che sicuramente, gli fosse stato concesso, avrebbe coronato con un Re naturale la celebre cabaletta “Possente amor mi chiama”, eseguita integralmente. Avesse anche un timbro baciato da Dio, cosa che già scrissi ai tempi del suo magnifico Trovatore a Venezia, avremmo la fatidica quadratura del cerchio. Ma va già bene così e come si dice in questi casi: averne!

Nadine Sierra, condannata dalle recenti regie a cui ho assistito (a questa si aggiunga la Traviata fiorentina nell’autunno scorso e una Lucia al Liceu barcellonese) a vestire da stracciona ed a mortificare una bellezza da top model che ha pochi riscontri nel mondo dell’opera, è stata molto convincente a rendere questa Gilda/Norina bizzosa e disincantata. Vocalmente è altrattanto seducente, sia per la bellezza di una voce lirica che si piega a tutte le indicazioni e che spadroneggia le agilità, sia per la linea di canto che in contrasto con la volgarità insistita, è di una purezza e levità estreme, tant’è che il fatidico “Caro nome” è parso un mometo in cui si è fermato il tempo.

Rigoletto – photo Brescia e Amisano © Teatro alla Scala

All’uscita dal teatro e prima di raggiungere l’uscita artisti per un rapido saluto, sono stato fermato da uno dei miei “piccoli fan” (alto circa due metri, va aggiunto. “Dovremo ancora leggere recensioni in cui si afferma che Amartuvshin Enkhbat sta maturando come artista?”. Domanda retorica. E retorico posso sembrare io che in Enkhbat credo da sempre e che ho visto in lui, sin dal primo ascolto durante una prova del suo primo Nabucco al Teatro Coccia di Novara, l’artista di razza, il diamante purissimo. Il suo “buffone” – senza gobba non sia mai! La deformità è interiore, però lo facciamo camminare in modo buffo – è destinato a rimanere scolpito in caratteri d’oro e non solo al Teatro alla Scala. Grande grandissimo, forse il più completo baritono oggi su piazza. Io, nei miei quasi sessant’anni di frequentazione teatrale, non ho memoria di una voce analoga, e sì che parto dai McNeil, dai Cappuccilli, dai Taddei, dai Protti…

Andrea Merli

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