PIACENZA: Gala verdiano a Palazzo Farnese, 4 luglio 2020

CRONACA DA PIACENZA

“E quindi uscimmo a rivedere le stelle”

Gala verdiano a Palazzo Farnese, 4 luglio 2020

Francesco Meli, tenore – Luca Salsi, baritono, Davide Cavalli, pianoforte.

Brani da Don Carlo, Un ballo in maschera, La forza del destino, Otello.

Pianoforte solo: Alexander Scriabin, Franz Liszt.

Bis: Il barbiere di Siviglia, L’elisir d’amore.


L’ultimo verso dell’Inferno dantesco “E quindi uscimmo a riveder le stelle” fornisce il titolo alle manifestazioni indette a Piacenza per il patrono Sant’Antonino. Tra le tante, di straordinaria valenza artistica e musicale il Gala verdiano a cui ci si riferisce, che rappresenta un messaggio di speranza per una città tra le più colpite in Italia dalla pandemia di Covid 19.

Le parole che il Sindaco, Patrizia Barbieri, ha rivolto all’auditorio – circa duecento persone armate di mascherina e opportunamente distanziate per rispettare le regole sanitarie – sono state ascoltate con una partecipazione significativa da chi ha perso parenti, amici e conoscenti. L’inno nazionale, suonato al pianoforte, salutato da uno scrosciante applauso, ci ha uniti tutti in questa voglia di reagire di tornare faticosamente alla normalità, alla musica. In questo specifico caso all’opera di cui il Teatro Municipale, diretto da una donna eccezionale, Cristina Ferrari, è un autentico faro e punta d’eccellenza nel panorama nazionale e non solo.

Del resto, gli artisti che hanno risposto all’appello, il tenore genovese Francesco Meli ed il baritono parmigiano Luca Salsi, sono cantanti ormai affermati a livello internazionale che a Piacenza hanno mosso i primi passi e vi fanno spesso ritorno, beniamini del pubblico.

Questo primo concerto non poteva che rendere omaggio Verdi, particolarmente legato a queste terre e qui sentito, come del resto è, da tutti quale “genius loci”. Il via lo hanno dato alcuni brani dal Don Carlo, l’aria del tenore “Io la vidi”, il successivo duetto “Tu che nell’alma infondere” e la morte di Rodrigo. Ha fatto seguito la grande aria di Riccardo da Un ballo in maschera “Ma se m’è forza perderti” e quindi il grande duetto del convento da La forza del destino, tra Alvaro e Don Carlo di Vargas. Finalmente, brani dall’Otello: il “Credo” di Jago e la scena tra Otello e Jago che si conclude con la stretta, l’ultima “cabaletta” di Verdi!, “Si pel ciel marmoreo giuro”. Al pianoforte ha fornito un valido accompagnamento Davide Cavalli, il quale ha eseguito pure due pagine solistiche: uno studio di Alexander Scriabin e Funérailles, il settimo e più famoso pezzo da Harmonies poétiques di Franz Liszt.

Accolti con un crescendo di entusiasmo, i due cantori hanno dimostrato che il confinamento, se da una parte li ha bloccati nella loro carriera, dall’altra ha fatto riposare le preziose corde vocali, le quali hanno risposto in entrambi idealmente all’impegno, certo notevolissimo date le pagine scelte. Di Salsi è nota la bellezza del timbro e la potenza di un’emissione generosa e fluida. Si sommi la sottigliezza nel fraseggio, sia nelle frasi dolenti di Rodrigo che nelle satanica malizia di Jago, la perfetta dizione ed articolazione della parola cantata e la brillantezza dell’acuto, per capire che il trionfo ed entusiasmo sono stati più che meritati. Lo stesso dicasi della stupenda prova del tenore Meli, ormai lanciatissimo in un repertorio da lirico pieno e che, nella pertinenza stilistica ed interpretativa di Otello, fa intravvedere ulteriori sviluppi verso un repertorio via via più spinto. Se il suo infelice infante Don Carlo, al pari del suo impetuoso Riccardo, sono personaggi ormai ben metabolizzati, l’Alvaro della Forza ed, ancor di più l’Otello – di cui proprio a Piacenza circa un anno fa diede un significativo anticipo cantando con la moglie, il soprano Serena Gamberoni, il quarto atto – hanno costituito un’autentica primizia e fanno sperare in prossime prese di ruolo. Nel suo caso esemplare il canto sul fiato, la modulazione in mille smorzature, con un uso lodevole della messa in voce, e cioè di lavoro sulle dinamiche rinforzando ed attenuando il suono.

Alla fine, immancabili i “bis”: un vero e proprio salto nel passato, di almeno dieci anni, con brani dal Barbiere di Siviglia, il duetto Almaviva e Figaro “All’idea di quel metallo”, seguito dalla travolgente cavatina di Figaro ed, a conclusione, con una emozionante esecuzione di “Una furtiva lacrima” dall’Elisir. Il ché, dopo aver cantato Otello, ha costituito per entrambi un’ulteriore prodezza; nello sciorinare agilità e sillabato, hanno così dimostrato che pur ampliando il repertorio a quello di un tempo possono sempre far ritorno.

Mai le stelle son parse più belle e brillanti, in cielo ed in terra, all’interno del Palazzo Farnese dove l’emozione è stata palpabile.

Andrea Merli

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