MILANO: ZINGARI – Ruggero Leoncavallo, 4 novembre 2019
ZINGARI – Ruggero Leoncavallo
Librettista Enrico Cavacchioli – Guglielmo Emanuel
Prima 16 settembre 1912
Hippodrome Theatre , Londra
Sala Grande del Conservatorio “Giuseppe Verdi”, 4 novembre 2019
Tra i pochi, in Italia almeno, a ricordare il centenario dalla morte di Ruggero Leoncavallo (Napoli, 23 aprile 1857 – Montecatini Terme, 9 agosto 1919) e stata Denia Mazzola Gavazzeni, fondatrice e presidente dell’associazione Ab Harmonie Onlus, nell’ambito del programma delle “Serate Musicali“ al Conservatorio di Milano, col supporto della Fondazione Cariplo, della Regione Lombardia, del Comune di Milano e di quello di Bergamo; nell’anno in cui ricorre, tra l’altro, il 110 anniversario dalla nascita del suo Gianandrea, cui l’accomuna l’eroico entusiasmo e la passione per le riscoperte del nostro, e non solo, teatro musicale. La riproposta è stata Zingari, atto unico di Enrico Cavicchioli e Guglielmo Emanuel tratto dalla novella di Puskin che vide la “prima” al Teatro Hippodrome di Londra il 16 settembre 1912, ed ebbe un’accoglienza festosa di pubblico e stampa e si replicò ben 62 volte.
Spariti praticamente dalle nostre scene, se si esclude un’edizione RAI del 1970 diretta da Elio Boncompagni con protagonisti i compianti Gianna Galli ed Aldo Bottion ed una più recente nel 2000 che non ha avuto grande eco, Zingari è da considerarsi a tutti gli effetti una rarità e nel contempo, seppure dopo un solo ascolto in forma di concerto, un titolo che merita rientrare in repertorio non solo nei nostri teatri, da solo o abbinato a Pagliacci di cui, inevitabilmente, rieccheggia storia e stile.
Un uso trascinante e coinvolgente della melodia, un’orchestrazione sapiente ed esotica (Leoncavallo si fece costruire apposta dal liutaio toscano Valentino De Zordi un “controviolino”, nuovo strumento di grandissima estensione che concilia la viola ed il violoncello) ed una scrittura vocale ardua, specie per i due protagonisti, la maliarda zingara Fleana, soprano ed il principe Radu, tenore, con cui si sposa secondo il mitico rito di sangue. La trama riflette quella dell’originale poemetto, che servì di ispirazione pure a Rachmaninov per l’analogo atto unico Aleko, con la sostanziale discrepanza nel finale in cui il geloso e tradito Radu incendia il carro in cui giacciono la fedifraga Fleana e il suo nuovo amante, lo zingaro Tamar, affidato al timbro di baritono. Divisa in due parti, tra cui trascorre un anno della storia, l’opera è interrotta da uno splendido intermezzo, forse la pagina più nota, sebbene negli anni sono state consegnate al disco arie isolate, per esempio quelle del tenore interpretate dal giovane José Carreras.
L’esecuzione ha visto brillare nella parte della “Carmen” di Leoncavallo il soprano bergamasco che vi si è gettata con convinzione e con tutta l’anima sua, in una prova più che ammirevole eroica, sia per la tenuta vocale che richiede una passionalità travolgente, ma anche una dose di ironia e sarcasmo, specie nella seconda parte, e soprattutto per l’interpretazione. La Mazzola, sebbene sprovvista di scena, ha idealmente fatto intravvedere le potenzialità di un ruolo vulcanico, infuocato. La “mise” rosso fuoco, l’uso dello scialle “con scenica scienza” agitato e gettato assecondando le frasi più eroticamente provocanti, hanno indubbiamente contribuito ad una resa assolutamente memorabile.
Il tenore Giuseppe Veneziano, partner abituale della Mazzola ed apprezzatissimo pure nella precedente Falena (che curiosamente si anagramma in Fleana in Zingari!) di Smareglia, ha superato alla grande le ostiche impennate riservate a Radu; una tessitura la sua che è costantemente nell’ottava superiore, che tocca ripetutamente il Si naturale e che richiede, oltre alla tecnica corretta ed alla voce edeguata, una resistenza monolitica: come cantare almeno tre Turandot di fila, per intenderci! Di Veneziano son piaciuti e molto il fraseggio, l’accento e la bella dizione chiara, aperta ma sempre controllata e tenuta a bada con un’ottima intonazione, che hanno fatto capire perfettamente la parola cantata. Leoncavallo riserva pagine suggestive pure al baritono, nella seconda parte una bellissima “serenata”: apprezzabile l’apporto generoso del baritono Armando Likaj. Il personaggio del Vecchio, padre di Fleana e capo degli zingari, è molto ridimensionato rispetto alla sua determinante partecipazione nel poema originale, non di meno ha da cantare, spesso con il coro, ed il bass-bariton Giorgio Valerio si è fatto molto onore.
Ottima la prova del coro, molto impegnato e con tante riminiscenze che ricordano Pagliacci, sotto la guida congiunta di Damiano Cerutti e Maxine Rizzotto; molto bene la valente Orchestra Filarmonica Italiana, diretta da Daniele Agiman, il quale ha una sua peciuliare affinità con questo repertorio che si percepisce egli ama e difende a spada tratta. Ne è risultata una lettura avvincente e senza smagliature, sebbene il tempo delle prove si stato, come sempre in questi casi, risicato. Il pubblico, abbastanza numeroso vista la serata milanese ricca di impegni e, soprattutto, dato il maltempo imperante, ha decretato un’accoglienza molto calorosa ed i commenti unanimi sulla bellezza dell’opera e sulla qualità dell’esecuzione.
Speriamo soltanto che non si debbano attendere altri cento anni per riascoltarla!
Andrea Merli