Trieste, 7 aprile 2017 TRISTANO E ISOTTA
Musica di Richard Wagner
Dramma musicale in tre atti
In lingua originale con sopratitoli in italiano ed inglese
Direttore: Christopher Frankiln
Regia: Guglielmo Ferro
Personaggi e interpreti:
- Tristan, nipote di re Marke: Bryan Register (7, 11, 14/IV), Hans-Georg Wimmer (9, 12, 15/IV)
- Marke, re di Cornovaglia: Alexey Birkus
- Isolde, principessa d’Irlanda: Allison Oakes (7, 11, 14/IV), Ana Petricevic (9, 12, 15/IV)
- Kurwenal, scudiero di Tristan: Nicolò Ceriani
- Melot, cortigiano di re Marke: Motoharu Takei
- Brangäne, ancella di Isolde: Susanne Resmark (7, 9, 11, 14, 15/IV), Daniela Denschlag (12/IV)
- Giovane marinaio: Andrea Schifaudo
- Un pastore: Dax Velenich
- Un timoniere: Hitoshi Fujiyama
- Marinai, cavalieri, scudieri.
Scene: Pier Paolo Bisleri
Costumi: Virginia Carnabuci
Direttore del Coro: Francesca Tosi
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste
L’azione ha luogo in mare ed in terra di Cornovaglia e Bretagna.
Una nuova edizione del Tristano (… e Isotta, che per abitudine si sottintende) in Italia è sempre motivo di interesse, specie se a produrla è una realtà periferica, ma di lunga e navigata tradizione wagneriana, come quella del Teatro Verdi di Trieste, città dove mi sono “impiccionescamente” formato all’opera avendo frequentato negli anni della mia ormai jurassica giovinezza la facoltà di medicina nella città giuliana. Il programma di sala, assai ben confezionato va detto, riporta le precedenti edizioni, partendo dalla “prima” del dicembre 1899. A quella, evidentemente, mancai; non così alle ultime due in ordine cronologico: nel 1980 con protagonisti Spas Wenkof e Ute Vinzing (Brangane fu Herna Dernesch) diretti da Matthias Kuntzsch e nel 1996, alla Sala Tripcovich (che ora corre il pericolo di essere abbattuta! E sarebbe un vero delitto) con un doppio cast: a me toccarono Horst Hoffmann e Maria Russo. La regia fu di Stefano Vizioli.
Ventun’anni dopo ritorno sul “luogo del delitto” e, come sempre, la trasferta in treno è valsa la fatica. Il caro “vecchio Verdi“, con le sue dimensioni ridotte, ma più che sufficienti, consente una totale immersione nel capolavoro wagneriano ed è con estrema gioia che si è goduta la rapinosa musica, grazie alla maiuscola prova dell’orchestra, precisa e di un tersore ammirevole, ubbidiente alla bacchetta del debuttante nel titolo, ma conosciuto come eccellente direttore, Christopher Frankiln. Ne è scaturita una lettura sempre alta in tensione drammatica; ovviamente nel concitato primo atto, dove si è fatto valere pure l’ottimo coro istruito da Francesca Tosi, nel voluttuoso e lungo duetto d’amore nel secondo, laddove la musica rasenta un erotismo sfrenato da poter “scatenare l’orgasmo” (rubo la frase a Raina Kabaivanska in quel di Modena, durante una recita del Tristano di cui lei, se mai avesse voluto cantare in tedesco, sarebbe potuta essere splendida Isotta) ed infine nel terzo atto, quello drammaturgicamente inerte, ma dove la spasmodica attesa del vascello con l’amata da parte del protagonista ferito mortalmente ha toccato il culmine. Ottimo e felice debutto quello di Franklin.
Il cast ha presentato una coppia assai solida ed affidabile: il tenore americano Bryan Register possiede la voce adeguata alla parte, che richiede un colore baritonale ed un registo acuto luminoso; l’interpretazione, la scansione della frase musicale, è pure stata all’altezza del ruolo che, nel terzo atto, esige una vera e propria prova di forza. Altrettanto positiva l’impressione che ha lasciato il soprano inglese Allison Oakes, dalla voce lirica e piena e dall’acuto – tolto il lieve incidente di percorso nel secondo atto – ben timbrato. Pure lei, interprete convincente ed appassionata, tanto nell’irata e nella sete di vendetta all’inzio, quanto poi nella passione amorosa. La defezione di Roberto Scandiuzzi, che avrebbe dovuto debuttare in Wagner col ruolo del Re Marke, il ché sarebbe stato motivo di grande interesse, è stata compensata dalla bella prova del basso nativo della Bielorussia Alexey Birkus. Così pure è piaciuto, e molto, il Kurwenal interpretato dal baritono triestino Nicolò Ceriani sonoro di una voce ben proiettata e corposa, interpretativamente perfetto nel renderne la rustica ed affettuosa umanità del fido scudiero. Sinceramente gli si apre una via in questo repertorio e non solo in Italia. Il mezzosoprano scandinavo Susanne Resmark, nonostante l’acuto sfogato, ha dato vita ad una Brangane credibile ed efficace, sia musicalmente che scenicamente. Altrettanto a fuoco son parsi il Mellot del tenore giapponese Motoharu Takei, il Giovane marinaio intonato dal tenore Andrea Schifaudo, il Pastore affidato al tenore Dax Velenich ed il Timoniere del baritono, giapponese anch’esso, Hitoshi Fujiyama.
Lo spettacolo ha avuto un’adeguata componente visiva nella bella ed austera scena disegnata da Pier Paolo Bisleri che, seguendo la scia di un severo minimalismo, ha garantito una ottima individuazione degli spazi e dei luoghi: l’interno della nave che si dirige in Cornovaglia con un gigantesco albero maestro ed il mare sullo sfondo e che accoglie un lettino da psicanalisi come unico arredo entro una tenda dorata, il bosco di betulle del secondo atto e gli spalti del castello nel terzo. Semplici, ma centrati pure i costumi creati da Virginia Carnabuci. La regia di Guglielmo Ferro non si è lasciata tentare da super interpretazioni e/o da sfalsamenti della drammaturgia, cercando piuttosto di seguire una lettura chiara, che permettesse anche senza leggere la traduzione dei sovratitoli di capire quanto stava accadendo. Spettacolo accolto con un caloroso e meritatissimo successo, insistito negli applausi.
Andrea Merli