BARCELLONA: Lohengrin – Richard Wagner, 17 marzo 2025

BARCELLONA: Lohengrin – Richard Wagner, 17 marzo 2025

LOHENGRIN 

Richard Wagner


Stage direction Katharina Wagner

Director Josep Pons

 

Personaggi e Interpreti:

  • Heinrich Günther Groissböck
  • Lohengrin Klaus Florian Vogt
  • Elisabeth Teige Elsa von Brabant
  • Olafur Sigurdarson Friedrich von Telramund
  • Varela Ortrud Miina-Liisa Värelä, Okka von der Damerau
  • Ortrud Okka von der Damerau, Iréne Theorin
  • Herald Roman Trekel
  • Knight Jorge Rodríguez Norton, Gerardo López
  • Knight Guillem Batllori, Toni Marsol
  • Young nobleman Carmen Jiménez, Raquel Lucena, Mariel Fontes, Glòria López Pérez, Elisabeth Gillming, Yuliia Safonova, Mariel Aguilar, Elizabeth Maldonado

Scenography Marc Löhrer

Costumes Thomas Kaiser

Lighting Peter Younes

Dramaturgy Daniel Weber

Production Gran Teatre del Liceu
Choir of the Gran Teatre del Liceu Director Pablo Assante
Symphonic Orchestra of the Gran Teatre del Liceu
Assistant conductor P. Mauricio Sotelo-Romero

Gran Teatre del Liceu, 17 marzo 2025


In programma per il 2020, rimandata per la pandemia Covid, va in scena finalmente una nuova produzione di Lohengrin totalmente “made Liceu”, accolta la sera della “prima” da una bordata di “buh” come non se ne ha memoria, non dicasi nel “secondo Liceu” ricostruito nel 1999 dopo l’incendio, bensì nell’intera storia del teatro. Che gran parte del pubblico, con buona pace di direttori artistici e di critica compiacente, si stia risvegliando dal torpore rassegnato, indotto da decenni in cui gli si sono state ammannite astruse e pretestuose messe in scena di “Regie theater”? A provocare la protesta, con visibile soddisfazione a giudicare la faccia compiaciuta sotto l’ondata delle contestazioni, ecco la bisnipote dell’Autore, Katharina Wagner ed il suo seguito formato dall’immancabile “drammaturgo”, Daniel Weber, dallo scenografo, Marc Löhrer, dal costumista, Thomas Kaiser, le luci di Peter E. Younes. Alla Signora, tanto per essere originale, non l’è passato altro per la testa che rovesciare i ruoli: i “buoni” sono cattivi, addirittura perfidi, i “cattivi” non lo sono poi tanto. Ce ne sarebbe per uno “spaghetti-western”, ma libretto e musica dicono e suggeriscono tutt’altro; ahinoi, sono pur sempre del Nonno, il quale tornasse in vita alla “nipotina guastamestieri” è facile immaginare quale trattamento riserverebbe.

Se il buongiorno si vede dal mattino, l’antifona l’abbiamo avuta ancor prima che iniziasse il preludio: usciti dal sipario, Elsa e Gottfried giocano al re ed alla regina. S’alza la tela e ci troviamo in una foresta oscura, ai bordi di uno stagno. I due si adagiano a fare un pisolino: ecco, arrivare in giacca jeans e pantalone bianco … Lohengrin il quale sveglia ed istiga lo sprovveduto duchino al gioco, ma poi lo spinge in acqua e lo affoga mentre un cigno nero – semovente e telecomandato – assiste alla scena; per tutto il percorso dell’opera il cigno ossessionerà il protagonista (che a un certo punto lo prende pure a calci, suscitando ilarità tra il pubblico) spuntando addirittura da un armadietto nelle tre camere sospese in aria che ospitano, rispettivamente, Ortuda e Federico, Elsa, e appunto Lohengrin, il qualle alla fine lo ammazza e quindi si suicida. Ortruda, passa da malefica maga ad essere confidente di una spaesata Elsa, a sua volta forzata al matrimonio: poteva mancare un pizzico di denuncia alla violenza di genere? A Ortruda il compito di estrarre dallo stagno il cadavere del povero fanciullo, un triste pupazzo di plastica gonfiabile.

Sistemata la parte visiva, l’opera, come sempre più spesso accade, la si è goduta chiudendo quasi sempre gli occhi. Sugli scudi la prova maiuscola l’ottima orchestra ed il bravissimo coro, rinforzato per l’occasione, diretto come sempre e sempre in crescendo di qualità, compattezza e intonazione, dal Maestro Pablo Assante. Applausi calorosissimi al coro, come si deve ad un vero, autentico, protagonista. La direzione del Maestro di casa, Josep Pons, è stata nel complesso convincente: eccessi nelle dinamiche, qualche attacco un po’ sporco (compreso un piccolo spernacchiamento degli ottoni) si correggeranno in corso di replica e sono sei, col teatro tutto esaurito a conferma dell’animo wagneriano di Barcellona. Buon senso narrativo, ricerca di preziosismi cromatici e slancio lirico efficace, confermano la buona bacchetta e la sotanziale specificità di repertorio.

Vocalmente le cose sono andate in crescendo: bene, ma non eccezionale, l’Araldo del baritono Roman Trekel, che fraseggia bene, ma la cui voce mostra qualche incrinatura. Ai limiti della sufficienza l’aitante basso baritono Günther Groissböck, nella parte di Enrico l’Uccellatore, con l’attenuante di non essere in perfetta forma fisica; è parso forzato in acuto e titubante nell’intonazione, gli si augura sia solo una brutta serata. Il Telramund del baritono Ólafur Sigurdarson ha ben poco del nobile, seppur perfido personaggio. Certo la voce s’impone, ma più per l’esagitazione e l’emissione che tende al grido, in uno sprechgesang vicino al parlato, che per la qualità. C’è da aggiungere a sua difesa che, per il trattamento registico che gli è riservato, cioè vessato, umiliato e strattonato in primis da Ortuda, risulta perfetto. Citiamo i quattro cavalieri brabantini: Jorge Rodríguez Norton, Gerardo López, Guillerm Batliori e Toni Marsol, i quattro paggi: Carmen Jiménez, Mariel Fontes, Elisabeth Gillming e Mariel Aguilar; rimangono le due signore: Elsa, il soprano Elisabeth Teige che piega e contiene la voce, molto importante, verso la liricità che il personaggio, sognante ed innocente, richiede; trapela un materiale più drammatico riuscendo, comunque, molto convincente in corso di tutta l’opera, emergendo nella concitazione del terzo atto. Ortruda, affidata al soprano Milna-Liisa Värelä, di vocalità prorompente, acuto fiammeggiante (la sua invocazione a Wotan degna di un’infuocata Valchiria!) e forte temperamento: per molti l’autentica rivelazione della serata, sebbene al Liceu la conoscessero già per aver interpretato una precedente Arianna a Nasso di Strauss.

Infine l’eroe del titolo: Klaus Florian Vogt, il Lohengrin degli ultimi venti anni; conferma un’affinità speciale con questo personaggio, il chè gli permette di affrontare ed uscire vittorioso dalle più strampalate regie. Linea di canto esemplare, sostenuta da una tecnica ferrea, sostanzialmente il “più a posto” – per dirla papale papale – di tutto il cast. Certo, il timbro è quel che è, ma per fortuna (sua e nostra) Lohengrin è un eroe romantico. Certi suoni sbiancati, quelli che non vorremmo sentire a Tamino nel Flauto Magico, per intenderci, un canto che lo accosta al mondo del Lied (di Schubert, più che di Wagner) sono piacevolmente giustificabili. Nel finale trova una forza trammatica insospettabile, quasi che con gli anni la zona centrale della voce avesse preso più corpo, e gli accenti commoventi del suo “In Fernem Land” rimarranno, comunque, impressi nella memoria. Censurato nel recente Siegmund scaligero, promosso a pieni voti qui al Liceu, anche e soprattutto da un pubblico che gli è giustamente molto affezionato: è al suo secondo Lohengrin in questo teatro, e parliamo del 2012.

Andrea Merli

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