ROMA: Tosca – Giacomo Puccini, 4 marzo 2025

ROMA: Tosca – Giacomo Puccini, 4 marzo 2025

Tosca
Musica Giacomo Puccini

Melodramma in tre atti

Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou


Direttore Daniel Oren
Regia Alessandro Talevi

Personaggi e Interpreti:

  • Floria Tosca Anna Netrebko
  • Mario Cavaradossi Yusif Eyvazov
  • Barone Scarpia Amartuvshin Enkbath
  • Cesare Angelotti Gabriele Sagona
  • Sagrestano Domenico Colaianni
  • Spoletta Saverio Fiore
  • Sciarrone Leo Paul Chiarot
  • Un carceriere Fabio Tinalli
  • Un pastorello  Emma McAleese 

Maestro del Coro Ciro Visco
Scene Adolf Hohenstein
Ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein
Ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli

 

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma

con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma

Allestimento Teatro dell’Opera di Roma

Ricostruzione dell’allestimento storico del 1900

 

Teatro dell’Opera, 4 marzo 2025


125 anni lo scorso 14 gennaio: assistere alla Tosca nel teatro che la vide nascere è sempre un’emozione. Per giunta, per questa ripresa dello storico allestimento ricreato nel 2015 sui bozzetti originali di Adolf Hohenstein, ricostruiti da Carlo Savi, compresi i costumi fedelmente riproposti da Anna Biagiotti e per la regia di Alessandro Talevi, per sole tre recite in marzo (le prime in gennaio, le prossime nel mese di giugno) è stata scritturata la “diva” del momento, Anna Netrebko. La cronaca si riferisce alla seconda recita, coronata da un successo prevedibilmente trionfale, con tanto di applauso d’entrata all’ingresso di Tosca e poi un’interminabile ovazione, con insistite richieste di “bis” (non esaudito sebbene dal podio Daniel Oren aplaudisse con le braccia alzate) ed infine, alla ribalta finale, ebbrezza e delirio dei moltissimi fan ed ammiratori provenienti da tutto l’orbe terracqueo: solo dalla Spagna, guidati musicalmente dal sottoscritto per l’Associazione Fra Diavolo, 48 melomani in platea!

Inutile negarlo: la presenza carismatica e catalizzatrice della “donna russa” è stata determinante. E non solo per aver interpretato un “Vissi d’arte” memorabile, del resto già noto per recenti recite estive in Arena a Verona di cui si è ampiamente e precedentemente riportato proprio qui. Basti l’analisi che fa, e da che pulpito – anzi dal podio – citando le dichiarazioni dal programma di sala, lo stesso direttore: “Anna Netrebko […] trovo sia l’unica a cantare nel “Vissi d’arte” quelle tre note, sibemolle, labemolle, sol, miracolosamente diminuendo, fino al pianissimo. E nella parola finale, nella frase “perché me ne remuneri così?” riesce a tenere il mibemolle in piano, lì dove altre gridano come matte”.

L’interprete non è da meno in corso di recita, iniziando civettuola con Cavaradossi e poi presa dai furori della gelosia con Scarpia; cantando -sottolineo cantando– tutte le frasi nel secondo atto, laddove quasi tuttte si rifugiano in un “veristico” parlato su parole quali “assassino”, “il prezzo”, ecc., senza però dimenticare che veste i panni di una diva e dunque con l’enfasi che poi diventa verità, emotiva e scenica, nel terzo atto; dove, oltre a tutto il resto, sfodera un Do tenuto e lucente sulla fatidica “lama”. Se proprio un appunto le si deve fare -e glielo si fa- in cotanta dovizia di mezzi, ancora intatti nonostante l’oneroso repertorio che affronta ora e dopo gli anni di ormai lunga e consolidata carriera, non si capisce la necessità di cercare affondi del tutto superflui in zona centrale, scurendo i suoni nella ricerca, forse, di maggior drammaticità. Infine, un volta lodata pure la tenuta dei fiati, messi a dura prova da Oren che s’approfitta sfacciatamente dell’abilità e tenuta nell’emissione del soprano allargando a dismisura i tempi, si nota a tratti un certo autocompiacimento nella ricerca dell’effetto, come quello di tenere le note a lungo o di cambiarne il valore: del resto non sarebbe una “diva” se non si concedesse questi veniali capricci. Se penso, giusto per citarne una, alla Caballé, la Netrebko passa per la personificazione del rigore musicale.

Yusif Eyvazov, ripete il suo riuscitissimo, entusiasmante Cavaradossi, più volte appludito, anche qui a Roma festeggiatissimo: grido “sei grande” compreso, dopo l’applauso scrosciante sulla coda dell’Addio alla vita del terzo atto. In crescendo durante la serata: “Recondita armonia” lo coglie, a freddo, un po’ troppo rigido e gridato, ma poi già nel duetto con l’amata Tosca – e qui la chimica tra i due continua a sentirsi – e con Angelotti (il bravo e solerte basso Gabriele Sagona) si riprende con le giuste intenzioni, i colori, le mezze voci e le sfumature che farebbero di lui un punto di riferimento avesse solo una bella voce. Il timbro è quello che è, ma ciò che interessa e lo fa ergere sugli scudi, è che sa cantare e davvero bene. Chi ha una voce ambrata, vellutata, in una parola seducente, è il baritono Amartusvshin Enkbath. Musicalmente e vocalmente ineccepibile, certo tende a passare in secondo piano sul piano puramente scenico, più che interpretativo, di fianco a due bestie di palcoscenico quali sono tenore e soprano; però sarebbe ingiusto censurare il suo Scarpia. Ne scaturisce un personaggio nobile, cantato con gusto e le giuste intenzioni e, soprattutto, con autorità vocale e precisione musicale. Domenico Colaianni ricrea scenicamente e sonoramente un ottimo Sagrestano, con tutti i tic necessari (tirata di tabacco compresa) ma con contenuta comicità, mai debordante nel grottesco; puntuali lo spoletta di Saverio Fiore e lo Sciarrone di Leo Paul Chiarot; bene il pastorello di Irene Codalli e citiamo il Carceriere di Fabio Tinalli.


Ottimo l’apporto del coro diretto da Carlo Visco; soprattutto vivaci in scena le voci bianche istruite da Alberto De Sanctis. Benissimo l’orchestra e coinvolgente la direzione di Oren che di quest’opera conosce tutte le pieghe e che vanta un’esperienza collaudatissima. Accolto trionfalmente da un pubblico che lo ama ed a ragione. Poco da aggiungere sullo spettacolo che si rivede sempre con grande soddisfazione e che fa tirare a tutti, soprattutto al pubblico, un sospiro di sollievo all’alzarsi del sipario. La scena più riuscita rimane il terzo atto, nella sua pittorica essenzialità. Regia? Non disturba e si fa notare più spesso per la sua assenza: oggi sembra sia quasi un complimento.

Andrea Merli

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