TEATRO ALLA SCALA: La Gioconda – Amilcare Ponchielli, 18 giugno 2022

TEATRO ALLA SCALA: La Gioconda – Amilcare Ponchielli, 18 giugno 2022

LA GIOCONDA

Amilcare Ponchielli

Direttore Frédéric Chaslin
Regia Davide Livermore

Personaggi e Interpreti:

  • La Gioconda Irina Churilova
  • Laura Adorno Daniela Barcellona
  • Alvise Badoèro Erwin Schrott
  • La Cieca Anna Maria Chiuri
  • Enzo Grimaldo Stefano La Colla
  • Barnaba Roberto Frontali
  • Zuàne Fabrizio Beggi
  • Un cantore / Un pilota Ernesto José Morillo Hoyt
  • Isèpo Francesco Pittari
  • Un barnabotto Alessandro Senes 

Scene Giò Forma

Costumi Mariana Fracasso

Luci Antonio Castro

Video Designer D-WOK

Coreografia Frédéric Olivieri

Maestro del Coro Alberto Malazzi

Nuova produzione Teatro alla Scala

Orchestra e Coro del Teatro alla Scala

Coro di Voci Bianche e Allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala

 

 

Teatro alla Scala 18 giugno 2022

Il capolavoro di Ponchielli, amatissimo dal pubblico dei melomani, mancava dalla Scala da 25 anni… “come passa il tempo!” verrebbe da aggiungere, ma le assenze “illustri” alla Scala non si contano: meno fortunata Norma, che manca dai tempi in cui la cantò la Caballé, fate voi il conto.

Ora si è puntato su un nuovo allestimento, firmato da Davide Livermore, il quale alla Scala è di casa, affiancato al solito da Giò Forma per le scene (scena unica, va detto, monumentale, rotante, scomponibile e ricomponibile come il gioco del Lego, sfruttando tutte le risorse tecnologiche del nuovo palcoscenico) con le video proiezioni D-Work, meno efficaci del solito, le luci in gran parte al neon di Antonio Castro ed i costumi, senza mezzi termini brutti ed imbruttenti, di Mariana Fracasso. A ciò si sommino le coreografie di Frédéric Olivieri, a capo dei bravissimi allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala.

Teatro alla Scala – La Gioconda, photo©Brescia e Amisano

Un allestimento inutilmente monumentale, iniziando dal brigantino Hècate di Enzo, dalle dimensioni di un transatlantico, per finire con il fastoso “antro di Giudecca” abitato dalla “cantatrice errante”. Ovviamente ed intenzionalmente sono puntualmente evitate tutte le citazioni del libretto: “Al diavol vanne con la tua chitarra!” senza la chitarra e l’altarino della Vergine, che dovrebbe ispirare l’aria “Stella del marinar” a Laura, pure assente. Si dirà che certi “orpelli”, come ora è di moda definirli durante le dirette radio di RAI 3, sono del tutto superflui. Se ci fosse una regia curata nel dettaglio si potrebbe anche essere d’accordo con un allestimento “minimale”. Ma che dire dell’ottantina di marinai e mozzi fermi, immobili ed allineati mentre si canta “noi gli scoiattoli siamo del mar”? O piuttosto dell’angelo “vivente” che cala dal soffitto sul canto della Cieca (combinata come Morticia Adams passata in candeggina) “Voce di donna od angelo” al primo atto, e che poi ricompare puntualmente portando in mano una sfera illuminata, manco fosse una veggente? Il meraviglioso feuilleton scapigliato di Tobia Gorrio poco si presta, in verità, alla “regia militante” che Livermore persegue: sebbene Alvise Badoero sia brutale, è pur sempre un nobile venziano. Ridurlo ad una sorta di Cetto Laqualunque, personaggio emblematico della politica mafiosa impersonato magistralmente da Francesco Albanese, lasciandolo a camicia sbottonata col petto in vista ed il bicchiere di whisky in mano – per altro assai in parte il pur bravo Erwin Schrott – è parsa una caduta di stile, più che un’aperta condanna. Per non parlare del divanetto semovente, imitazione “Luigi Filippo”, che funge da bara a Laura; di Isepo con bombetta in testa e mazza da baseball (Arancia meccanica?) e di un lungo eccetera di incongruenze. Ciò detto il pubblico, almeno quello del turno C, ha gradito e tanto basti.

Teatro alla Scala – La Gioconda, photo©Brescia e Amisano

Dal punto di vista musicale poteva andare meglio, ma la direzione di Frédéric Chaslin costituisce un altro punto a sfavore di questa Gioconda. Mi unisco al coro di coloro che l’hanno già censurata per il fragore, la mancanza di colori, la “latulenza” addirittura di alcuni tempi. Ottimo come sempre l’apporto del coro, anzi dei cori: quello adulto sotto la guida di Alberto Malazzi, le voci bianche istruite del veterano Maestro Bruno Casoni.

Teatro alla Scala – La Gioconda, photo©Brescia e Amisano

Il cast è parso sostanzialmente valido. Le defezioni di Sonia Yoncheva e poi di Fabio Sartori, hanno comportato alcuni cambi last minute. Lode dunque allo squillante Stefano La Colla che si è accollato, si passi il gioco di parole, l’onere di sostenere la parte di Enzo Grimaldo arrivando alla prova “generale”. Vigore e gagliardia in una parte improba, ma anche dolcezza nel canto in un “Cielo e mar” interpretato con trasporto, dovizia di colori e tecnica inappuntabile. Eventuali slittamenti di intonazione, denunciati alla “prima”, sono stati messi a fuoco con altrettanta perizia. Una bella prestazione in un repertorio che, evidentemente, gli appartiene. Ottime sia la Laura di Daniela Barcellona, la più penalizzata dai costumi (che poi si dovrebbe decidere a che epoca appartengono) che la Cieca di Anna Mria Chiuri, che ricordiamo splendida Laura nel circuito emiliano. L’artista triestina delinea una Laura accorata, ma anche decisa e valorosa, il mezzosoprano altoatesino nei panni della Cieca (si direbbe trovati all’outlet dell’Emporio Armani) trova il colore contraltile per rendere il necessario contrasto vocale, risultando accorata e convincente. Ottimo il Badoero, cantato con sfrontata valentia da Schrott, il quale emerge soprattutto, come è logico, nel terzo atto, e sempre valido per statura vocale ed interpretativa il satanico Barnaba di Roberto Frontali, che deve pure fumarsi una sigaretta per raffrenare il selvaggio delirio, mentre la vaghissima farfalla dovrebbe farsi più gaia e più fulgida con tutti gli orpelli (oibò, manco a farlo apposta!) sacrati alla scena dei pazzi teatri; inutilmente, anche perché Gioconda rimane con in dosso gli stessi stracci.

Teatro alla Scala – La Gioconda, photo©Brescia e Amisano

Buona ultima Irina Churilova, al debutto in una delle tre recite da lei coperte. Devo ammettere che, sebbene l’avessi apprezzata quale Lisa ne La Dama di Picche pochi mesi fa al Teatre Liceu di Barcellona, ero un po’ prevenuto; anche perché nel mio intimo avrei preferito ascoltare la bravissima Saioa Hernandez, già stupenda Gioconda a Piacenza e Modena grazie alla lungimiranza di Cristina Ferrari a cui va riconosciuto il merito di aver “lanciato” la Hernandez. Per altro, costretto a scegliere, molto meglio quella versione di Gioconda in provincia! Ma arrivando dalla Catalogna, biglietti arei in mano, non avevo altre possibilità di ascolto. Ebbene, tanto di cappello! E’ pur vero che ancora ha qualche problema di dizione, specie nella gestione delle doppie, ma poca cosa e di poco conto di fronte ad una vocalità rigogliosa, uno slancio interpretativo notevole. Facile all’acuto di forza, preso con vigore e sicurezza, propensa alla mezze voci ed al canto pure in piano, ottimo l’attacco di “Enzo adorato! Ah! Come t’amo!”, s’è guadagnata un meritato e prolungato applauso dopo un “Suicidio!” di grande spessore drammatico. Festeggiatissima, poi, alla ribalta finale, dove hanno ricevuto meritati applausi pure gli ottimi Isepo del tenore Francesco Pittari, lo Zuane del basso Fabrizio Beggi, il Barnabotto di Alessandro Senes ed Ernesto José Motillo Hoyt, nella doppia parte di Un cantore e di Un pilota.

Andrea Merli

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