Barcellona: LUCIA DI LAMMERMOOR -Gaetano Donizetti, 24 luglio 2021

Barcellona: LUCIA DI LAMMERMOOR -Gaetano Donizetti, 24 luglio 2021

Lucia di Lammermoor

opera in tre atti di Gaetano Donizetti

su libretto di Salvadore Cammarano

tratto da The Bride of Lammermoor di Walter Scott

 

Direttore d’Orchestra Giacomo Sagripanti
Regia e coreografia Barbara Wysocka

Personaggi e interpreti:

  • Lord Enrico Asthon Alfredo Daza
  • Lucia Nadine Sierra
  • Sir Edgardo Di Ravenswood Javier Camarena
  • Lord Arturo Buklaw Emmanuel Faraldo
  • Raimondo Bidebent Mirco Palazzi
  • Alisa Anna Gomà
  • Normanno Moisés Marín

Scene Barbara Hanicka
Costumi Julia Kornacka
Luci Rainer Casper
Proiezioni Michal Zadara (Andergrand Media + Spektakle)
Produzione Bayerische Staatsoper (Munic)
Orchestra e Coro del Gran Teatre del Liceu
Direttore del Coro Conxita Garcia

Gran Teatre del Liceu, 24 luglio 2021


Di nuovo di fronte ad una incongruenza, tipica di questi strani ed esauritissimi tempi: da un lato una versione musicale completissima, praticamente integra dello spartito (compreso il breve recitativo tra Bidebent e Normanno dopo la scena della pazzia di Lucia di cui, onestamente, non se n’è mai capita l’urgenza), dall’altra uno spettacolo che tradisce proditoriamente le indicazioni del libretto: niente Scozia, ovviamente, tempi postadatati ai ’60 dello scorso secolo, Lucia al matrimonio giunge vestita novella Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”, sparatorie a gogò e al posto dei “brandi” un brandy che Enrico offre al malconcio Edgardo nella scena della torre, dove per altro lo sfida a duello dopo averlo aiutato a fasciarsi il braccio. Insomma, il ridicolo involontario sta sempre dietro l’angolo quando si voglia stupire con effetti per altro visti e rivisti in quella che possiamo considerare la routine del Regie Theater e, a tal proposito, bisognerebbe vietare l’abuso di automobili (la decapotabile con cui Edgardo si presenta ad ora inusitata) di far danzare al coro il Twist ogni qual volta l’ochestra accenni ad un allegro e l’uso dei cappottoni. Arridatece i kilt in tartan!
Autrice di tanto inutile obrobrio Barbara Wysocka, scena (unica: il merito di non perder tempo nei cambi e di costituire una sorta di scatola acustica che ha favorito la proiezione del canto) di Barbara Hanika, costumi di Julia Kornacka, luci di Rainer Casper, video proiezioni di Michal Zadara. La produzione proviene dall’Opera di Monaco di Baviera.
Apprezzabile il versante musicale, innanzitutto per la bella, decisa ed intensa direzione di Giacomo Sagripanti, che torna al Liceu dopo un fortunato Viaggio a Reims rossiniano, e si conferma direttore di vaglia. Sostegno sicuro al canto, ma anche personale nel dare un impulso drammatico, incalzante allo spartito. Applauditissimo, assieme all’orchestra, molto precisa ed all’ottima prestazione del coro istruito, come sempre, dalla pur lodevole e più volte lodata Conxita Garcia.
Un cast praticamente ideale per questa versione assolutamente impostata nel puro Belcanto. Benissimo i ruoli di fianco, la molto apprezzata Alisa di Anna Gomà, il sonoro Normanno di Moisés Marini e lo “sposino” di Emmanuel Faraldo che si è disimpegnato assai bene nella sua sortita giocata tutta sulle note di passaggio.
Mirco Palazzi, Bidebent, conferma la sua alda professionalità e la predisposizione a questi ruoli di basso con inclinazioni paterne: voce morbida, ben proiettata nel grave e sostenuta in acuto, ottima l’agilità che nell’aria assume un colore rossiniano. Alfredo Daza, Enrico, è detentore di una voce solida, robusta, perfettamente proiettata e con notevole estensione. L’interprete poi è generoso e solo l’impostazione registica, che ne fa un brutale villano pronto a schiaffeggiare la sorella e dedito ad un impulsivo tabagismo (non si contano le sigarette accese in corso d’opera) ne inficia la nobiltà che il colore vocale e l’artista fanno supporre.
Javier Camarena, Edgardo, esibisce un’estensione invidiabile ed uno stile assolutamente aderente al personaggio. Il colore è decisamente chiaro e, a tratti, spuntano il Nemorino ed il Tonio, ma ciò non toglie che cerchi di dare corpo alle note centrali, forzandone inutilmente qualcuna. Forse causa di un po’ di stanchezza: anche i “divi” sono umani, direbbe Fracchia. Comunque un gran bel sentire, con puntature inconsuete (un Do nella “bell’alma innamorata” laddove quasi tutti si impiccano) giustamente sottolineato da un’accoglienza trionfale alla ribalta finale.
Buona ultima Nadine Sierra che si conferma, tra i soprani lirico leggeri in circolazione, ai primissimi posti. Dotata di un timbro assai bello, una voce limpida e cristallina, ma capace di sostenere le note gravi dando loro il giusto corpo senza segno di pesantezza (il “fantasma” della “pazzia” ne sia l’esempio) e detentrice di una tecnica sopraffina che le permette di giostrare a piacimento la voce tra acuti di forza e presi in pianissimo, di modulare un eccezionale legato e di eseguire perfette messe in voce, il tutto sommato ad una espressività spontanea, mai caricata e – sia considerata una lode – credendo a fondo nell’impostazione registica del personaggio che ne vuole una donna determinata pronta a difendere l’amore, scettica nei confronti del fratello e dell’amica Alisa: a dimostrazione di quanto abbia capito la regista di chi sia veramente il personaggio disturbato della fanciulla che ha le visioni delle fontane insanguinate, qui ridotte ad una litografia che lei lancia al suolo. Inutile dire che dopo la “pazzia” il tempo in teatro si è fermato per un interminabile applauso, ripetuto poi ai ringraziamenti di fine opera.
Nota di colore: la serata, dedicata al ricordo di Giuseppe Di Stefano che al Liceu debuttò nel 1946 in Manon di Massenet e poi vi tornò più volte, ha visto anche l’omaggio ad una Artista del coro giunta all’età del pensionamento a cui è stato offerto un mazzo di fiori e che ha condiviso con gli artisti gli applausi alla ribalta per l’imponenza dell figura e per il dominio della scena è parsa il fantasma della Tebaldi, che al Liceu fu regina.

Andrea Merli

Share this Post

Leave a Comment