PALMA DE MAIORCA:  IL TROVATORE – Giuseppe Verdi, 26 e 28 maggio 2021

PALMA DE MAIORCA: IL TROVATORE – Giuseppe Verdi, 26 e 28 maggio 2021

IL TROVATORE

Giuseppe Verdi

Direttore Matteo Beltrami
Regia Marta Eguilior
 
 
Personaggi e Interpreti:
 
  • Conte di Luna Àngel Òdena
  • Leonora Yolanda Auyanet
  • Azucena Nino Surguladze
  • Manrico Àngelo Villari
  • Ferrando Manuel Fuentes
  • Inés Marga Cloquell
  • Ruiz Joan Gabriel Riera
  • Messo Jordi Fontana
  • Zíngaro Miquel Malondra
Balletto e figuranti Jhorman Javier Jiménez Esther Martí Rocío Tur
Costumi Jesús Ruiz
Proiezioni e luci David Bernués
Coreografía Inma Sáenz
Assistente della coreografía e ballet Marta Reguera
Orquestra Simfònica de les Illes Balears
 
Cor del Teatre Principal
Director: Pere Víctor Rado

Teatre Principal 26/28 maggio 2021


Nonostante viaggiare alle Isole Baleari e dunque a Maiorca, comporti tutt’ora la compilazione del “codice QR”, come fossimo prodotti da supermercato e l’obbligo di sottoporsi, viaggiando dalla Catalogna nel mio caso, ad un test rapido – l’antigenico, per intenderci – del Covid, la “fame” d’opera è tale che il gioco vale molto più della candela.

Non solo, data la disponibilità di Miquel Martorell, direttore di produzione del Teatre Principal, ho approfittato dell’occasione (mancavo dall’Isola dal 1984!) per assistere a due delle tre recite in programma. Va segnalato che l’affluenza in teatro, nel rispetto di tutti i protocolli sanitari, alle Isole Baleari è consentita al 60%, ma nel dover alternare un posto vuoto ad una poltrona occupata alcuni avrebbero scarsissima visibilità, essendo un teatro “all’italiana” recentemente restaurato, databile nella seconda metà del XIXesimo secolo, ci si è limitati al 50%. L’aspetto che offriva era quello di un festoso ed ottimistico “metà pieno”.

Il Principal vanta una lunga tradizione: Il trovatore vi giunse nel 1857 quasi fresco di debutto. Su questo palcoscenico si sono alternati cantanti gloriosi, non solo spagnoli ed ora, essendo Maiorca probabilmente l’isola più internazionale del Mediterraneo per la forte attrazione che ha sui turisti, il cartello non ha fatto eccezione, seppure si sia dovuto sostituire a tambur battente per la prova “generale” il soprano nella parte di Leonora. E’ accorsa in “salvataggio” Yolanda Auyanet, artista nata in un’altra isola, a Gran Canaria, ma a tutti gli effetti italiana per matrimonio e ancora una volta isolana poiché abita a  Trapani, in Sicilia. Questa “mediterraneità” ben accomuna quasi l’intero cast, escludendo il mezzosoprano che arriva da altre sponde, quelle del Mar Nero, la georgiana Nino Surguladze, ma pure lei da considerarsi nostra connazionale per studi e carriera.

Iniziamo dal direttore d’orchestra, il genovese Matteo Beltrami, a capo della Orchestra Sinfonica delle Isole Baleari, una delle più prestigiose compagini musicali e non solo in ambito iberico e del Coro del Teatre Principal istruito da Pere Victor Rado. Sempre a fuoco l’orchestra sostenuta con piglio determinato di chi sa benissimo cosa ha tra le mani e che per Verdi ha una particolare sensibilità. Il Trovatore sotto la bacchetta di Beltrami trova il colore cupo e misterioso delle tenebre notturne, che avvolgono gran parte del libretto di Cammarano e Bardari, i bagliori e riverberi delle fiamme che ardono nelle vampe che affollano la mente tormentata di Azucena ed investono tutti i personaggi. L’irrefrenabile e blasfema passione cruenta del Conte di Luna, affidato al solido baritono tarraconense Angel Odena, dalla voce ricca di armonici e di colore brunito, che gli riesce dominare con lodevole introspezione nell’aria “Il balen del suo sorriso”; l’adolescenziale vivacità, l’irruenza di Manrico che nella voce squillante del tenore Angelo Villari, in cui scorre sangue siciliano, si libra in generose ondate sonore, per tutte la famigerata “pira” che, seppure abbassata di mezzo tono, egli rende con baldanza, ma trova anche la dolcezza sul cantabile “Ah si, ben mio”, vero banco di prova di ogni Manrico che si rispetti e gli accorati accenti nel finale: “Insano ed io quest’angelo osava maledir”. L’angelo custode e salvifico si è incarnato nella Auyanet. Seguo questo soprano da parecchio tempo e l’evoluzione della sua carriera da ruoli coloratura, quali le donizettiane Maria della Figlia del reggimento o piuttosto Lucia di Lammermoor risolte con estrema disinvoltura in acuto e sovracuto pur possedendo una vocalità di lirico pieno, a parti da lirico spinto, è stata ponderata e graduale. Il ricordo corre ad una stupenda Matilde del Guglielmo Tell bolognese. Qui, per quanto costretta dalla regia ad un’azione assurda proprio nel momento di maggior impegno vocale per Leonora, recitativo ed aria del quarto atto, costringendola in ginocchio ad accendere una dozzina di lumini da cimitero messi ad arco davanti a lei, non solo è riuscita a salvare una produzione, ma ha dato prova di una professionalità a prova di bomba, inserendosi perfettamente con  il resto del cast. La Azucena della Surguladze non rappresenta per il sottoscritto una novità, anzi a Parma gliel’ho sentita eseguire nella versione francese, che le calza a pennello poiché vi si richiede una tessitura più acuta rispetto alla versione originale italiana. Il mezzosoprano è praticamente un “Falcon”: difatti, ha eseguito la variante con puntatura al Do acuto nel duetto col tenore al secondo atto. Anche in questo caso si tratta di un’artista completa pure interpretativamente, sebbene per una bizzarra concezione registica avesse la faccia metà bianca e metà nera e sembrasse più che la madre la sorella più giovane di Manrico.

Ottimo il Ferrando del giovane talento alicantino – ancora sul Mediterraneo! – Manuel Fuentes, un giovane basso appena 25enne da seguire con attenzione. Brava pure la Ines del soprano Marga Cloquell, voce che corre e ben timbrata; aiuta entrambi, basso e soprano, la notevole presenza scenica. Dote, oggi come oggi, da non sottovalutare. Citato il valente Ruiz del tenore Joan Gabriel Riera, che ha trovato modo di fraseggiare bene l’inizio del quarto atto, rimarchevoli anche i due artisti del coro chiamati ad esporsi da solisti: l’usato messo di Jordi Fontana e, soprattutto, il sonoro Vecchio Zingaro di Sebastià Serra, tutt’altro che vecchio. Da citare i quattro danzatori, tre donne ed un uomo, che assieme ad un piccino (Miquel Malondra, il bimbo bruciato!) hanno pure compiuto da figuranti: Jhorman Javier Jiménez, Esther Marti, Rocio Tur e Marta Reguera.

Dulcis in fundo, ma con un retrogusto amaro, la nuova produzione affidata a Marta Eguilor, bilbaina 35enne ribattezzata dalla rivista Opera Life “l’enfant terrible dell’opera in Spagna“, per regia e scenografia, a Jesus Ruiz che ne ha firmato i costumi, con le luci e proiezioni curate da David Bernués di “Acronica producciones“. L’accoglienza alla ribalta finale è stata cordiale e tanto basti. Qui non si tratta di decidere se preferiamo le tele dipinte e l’epoca che corrisponde al libretto ed all’opera teatrale di Antonio Garcia Gutierrez, piece che rappresenta un caposaldo del teatro romantico spagnolo, o piuttosto lo spostamento nel tempo e nel pianeta delle scimmie o sulla Luna, che pure dà il titolo al Conte, ma di capire il testo italiano, seguire le indicazioni dello spartito e di non mettere a dura prova i solisti con movimenti e azioni gratuite. Non entro nel dettaglio, ma le idee anche quando “geniali” devono potersi sviluppare e arrivare immediatamente al pubblico, altrimenti diventa un esercizio onanistico del tutto fuorviante e sterile.

Andrea Merli

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