VENEZIA: Ottone in villa -Antonio Vivaldi, 10 luglio 2020

VENEZIA: Ottone in villa -Antonio Vivaldi, 10 luglio 2020

Direttore Diego Fasolis

Regia Giovanni Di Cicco

Personaggi e Interpreti:

  • Cleonilla Giulia Semenzato
  • Ottone Sonia Prina
  • Caio Silio Lucia Cirillo
  • Decio Valentino Buzza
  • Tullia Michela Antenucci

continuo
Diego Fasolis, Andrea Marchiol clavicembali Alessandro Zanardi violoncello
Francesco Tomasi tiorba

Scene Massimo Checchetto
Costumi Carlos Tieppo
Luci Fabio Barettin

Orchestra del Teatro La Fenice

Teatro La Fenice, 10 luglio 2020.


Prima opera del Prete Rosso, eseguita al Teatro delle Grazie di Vicenza il 17 maggio del 1713, Ottone in villa ha segnato la ripresa dell’attività operistica al Teatro La Fenice sostituendo il più ambizioso progetto di eseguire nel corso di quest’anno, segnato purtroppo dal confinamento per la pandemia e con la sospensione per ben quattro mesi dell’attività del Teatro, al Teatro Malibran l’opera “feticcio” di Vivaldi, Farnace, affidato a Diego Fasolis, specialista italiano del repertorio barocco. Il quale si è dichiarato entusiasta di ritrovare tanta sapienza e freschezza in questo, che non si esagera nel definire capolavoro, che sgorga direttamente dai precedenti successi strumentali dell’Autore.

Entusiasmo condiviso dal pubblico che, seguendo rigorosamente i decreti anti-covid, distanziato all’interno del teatro ha gremito nei limiti consentiti gli spazi agibili, I palchi, il loggione e il palcoscenico su cui si è ricreato un impianto scenico fisso, l’armatura di una nave in costruzione e che idealmente dovrebbe guidarci verso il futuro, fuori da questo incubo, a suon di musica.

Si tratta di un’opera “seria”, ma con risvolti buffi. Relativamente corta, due ore e mezza pur nella sua integrità, Ottone in villa offre una flebile trama che coinvolge l’imperatore romano invaghito della volubile Cleonilla, inseguita dall’amante Caio Silio, il quale per lei ha abbandonato una “dama forestiera” di nome Tullia, che in vesti maschili si finge il suo paggio Ostilio, di cui, a sua volta si incapriccia Cleonilla. Un quinto personaggio, Decio confidente di Ottone, veglia sull’imperatore ritratto qui nei panni poco credibili, proprio per l’identità ambiziosa del personaggio storico, di un ingenuo credulone. Il quale, alla fine, scioglie l’intreccio con buona pace di tutti, contraltare del misogino Don Alfonso in questa sorta di Così fan tutte vivaldiano.

Pur costituendo una sorta di “Festival di San Remo” dell’aria barocca, intercalata dai recitativi secchi, Ottone in villa contiene tanta bella ed originale musica, iniziando dalla sinfonia in tre movimenti, firma inconfondibile di Vivaldi, e poi in una successione varia di brani solistici. Il vero protagonista è Caio Silio, ai tempi affidato al castrato Bartolomeo Bartoli, cui sono affidate ben otto arie; tra queste almeno tre di squisita fattura e straordinaria invenzione. Nel secondo atto “L’ombre, l’aure” è in realtà un “duetto” con eco (la voce di Tullia) con due violini e due flauti dolci nascosti ad evocare rispettivamente le brezze ed il ruscello, la sorprendente “Io sembro appunto, quell’augelletto” con richiamo a tempo di cinguettii ed infine l’aria finale che comprende un assolo di violino che raddoppia la linea vocale all’ottava superiore. Il soprano Lucia Cirillo ha fornito rilievo e spessore alla parte con perfetta tenuta musicale. Non certo in secondo piano il personaggio del titolo, Ottone, affidato al contralto Sonia Prina, trionfatrice della serata ed a cui sono stati tributati i più calorosi applausi in corso d’opera. Di questa eccezionale artista non si sa se ammirarne di più la salda e precisa vocalità, completa su tutta la gamma, dall’acuto smagliante al potente grave, o la aderenza scenica che la rende perfetta per le parti “in travesti” sia per la recitazione che per l’incisività e veemenza della parola scenica esposta alla perfezione. Memorabile l’esecuzione dell’aria di bravura “Come l’onda”, all’inizio del secondo atto, che presenta il tipico quadro vivaldiano di tempesta di mare.

Bravissimi anche gli altri interpreti, la frivola Cleonilla dell’ottimo soprano Giulia Semenzato e l’Ostilio dolente, ma anche determinato, della finalmente Tullia, il soprano  Michela Antenucci cui spetta la bellissima aria “Due tiranni ho nel mio core”, dove l’indignazione e l’amore sono rispettivamente espressi da una musica vivace in cui compaiono gli oboi ed una più mesta affidata agli archi. Benissimo anche il tenore Valentino Buzza, Decio e ovviamente ammirevole la direzione di Fasolis a capo dell’orchestra ridotta a venti strumenti, compresi i due clavicembali uno di quali suonato da Fasolis stesso, per scelta “moderni” ma forti delle esperienze precedenti sul fronte dell’articolazione, dei colpi d’arco, dell’uso del vibrato e sui raddoppi di fiati e violini.

Poco da aggiungere sulla messa in scena, ridotta all’osso nella cavea della platea: il regista Giovanni DI Cicco ha fatto in modo di coinvolgere gli artisti, ovviamente distanziati, in un intreccio continuo di azione e controscene durante le arie. Di più onestamente non poteva fare. Così pure il minimale “allestimento” firmato dal direttore di scena Massimo Cecchetto e le luci, ben distribuite dal capo elettricista del teatro, Fabio Barettin. Nell’ottica della contemporaneità i costumi firmati da Carlos Tieppo.

Una nota dolente, infine: lo squilibrio acustico. Chi era piazzato sul palcoscenico ha avuto sì, come ha scritto il direttore Fortunato Ortombina sul programma di sala, l’inconsueta visione della sala vista nella sua completezza, ma anche un ascolto ondivago e spesso assente delle voci, a seconda che gli interpreti fossero volti di spalle o molto lontani in platea. Il suono dell’orchestra dal fondo della platea è arrivato prevaricante e, sinceramente, al di là dell’effetto ottico e del significato simbolico de “E la nave va”, per parafrasare il film di Fellini, non si è capito il vantaggio di tale sistemazione in un teatro a forma di ferro di cavallo e con un’acustica ben definita in tal senso. Forse mantenere il golfo mistico, l’azione in palcoscenico e piazzare distanziata in platea la stessa quantità di poltrone (e magari ce ne stava qualcuna in più) a disposizione tra le quinte poteva (e potrebbe) essere la soluzione del problema.

Andrea Merli

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