PAVIA: Gugielmo Tell – Gioachino Rossini, 17 gennaio 2020

PAVIA: Gugielmo Tell – Gioachino Rossini, 17 gennaio 2020

GUGLIELMO TELL

Melodramma tragico in quattro atti. Musica di Gioachino Rossini.

Libretto di Étienne de Jouy e Hyppolite Bis, tratto dall’omonimo dramma di Friedrich Schiller.
Traduzione ritmica italiana di Calisto Bassi.

Prima rappresentazione assoluta: Parigi, Opéra, 3 agosto 1829
Prima rappresentazione italiana: Lucca, Teatro del Giglio, 17 settembre 1831

 

Maestro concertatore e Direttore d’orchestra Jacopo Brusa

Regia Arnaud Bernard

Personaggi e Interpreti:

  • Guglielmo Tell: Gezim Myshketa
  • Arnoldo: Giulio Pelligra
  • Matilde: Marigona Qerkezi
  • Gualtiero Farst: Davide Giangregorio
  • Melchthal: Pietro Toscano
  • Jemmy: Barbara Massaro
  • Edwige: Irene Savignano
  • Un pescatore: Nico Franchini
  • Leutoldo: Luca Vianello
  • Gessler: Rocco Cavalluzzi
  • Rodolfo: Giacomo Leone

Scene e Video design Virgile Koering

Costumi Carla Galleri

Assistente alla regia Yamala Irmici

Maestro del coro Massimo Fiocchi Malaspina

Coro OperaLombardia
Orchestra I Pomeriggi Musicali di Milano

Coproduzione Teatri di OperaLombardia

Recita di venerdì 17 gennaio 2020


L’allestimento di Guglielmo Tell prodotto da Opera Lombardia che ha visto la “prima” a Como nell’autunno scorso, arriva a Pavia col sostanziale cambio della direzione d’orchestra, affidata ora a Jacopo Brusa, giovane direttore pavese, molto promettente e già precedentemente impegnato in un ampio repertorio, sinfonico ed operistico, in diversi teatri italiani ed esteri.
Partiamo dunque dalla sua direzione, che si dimostra subito la carta vincente per la brillantezza del suono che Brusa riesce ad ottenere dall’ottima orchestra dei Pomeriggi Musicali e dalla solerte e vivace partecipazione del Coro, affidato alle cure del Maestro novarese Massimo Fiocchi Malaspina.
Va aggiunto che l’opera è stata ripresa dopo una pausa di circa tre mesi, le ultime recite nell’ottobre dello scorso 2019 e quindi con la difficoltà di dover ricostruire uno spettacolo piuttosto complesso. Il Tell è opera di non frequente esecuzione in Italia, per giunta nella versione tradotta da Callisto Bassi, che pure una volta era abituale. Opera monumentale, di fatto con essa Rossini aprì la via al Grand Opera, comporta difficoltà sia vocali che musicali indiscutibili, essendo come si sa l’ultimo e per molti versi “rivoluzionario” capolavoro nella è pur vasta produzione rossiniana.
Per quanto riguarda lo spettacolo, sulla regia di Arnaud Bernard – scene e video design di Virgile Koering, costumi di Carla Gallieri – è stato già versato molto inchiostro. Ha creato diverse perplessità nel pubblico e anche a chi firma, perché l’idea, in sé non nuova, di ridurre Guglielmo Tell a una bella favola letta ed immaginata con gli occhi e l’innocenza di un bambino e cioè Jemmy figlio del protagonista, funziona solo a tratti.
Ambientare il tutto in una casa borghese a fine 800, in uno spazio unico che è sala da pranzo dove si sta apparecchiando la cena, ma poi diventa la camera da letto del bimbo che sogna ad occhi aperti, è molto limitante. In primis perché sacrifica troppo spesso il coro fuori scena, con squilibri anche sonori. Soprattutto crea confusione mescolare i personaggi dell’opera con i familiari e le persone che frequentano la casa, di cui si fatica a coglierne i legami e ad attribuire loro un’identità che abbia poi relazione con la drammaturgia dell’opera.
Se da una parte è logico che il padre e la madre del piccolo Jemmy, che assurge così al ruolo di autentico protagonista e motore dell’azione sorta di Figaro tuttofare, siano nella fantasia rispettivamente Tell e la moglie Edwige, risulta difficile attribuire un ruolo “casalingo” a Matilde o piuttosto a Melchthal e agli altri personaggi che durante la sinfonia animano la scena. In corso d’opera, poi, si dovrebbe intuire che il severo maggiordomo è nientemeno Gessler, il tiranno dittatore, per Jemmy. Infatti, alla fine, viene sorpreso dal padre a maltrattare il figlio e quindi licenziato su due piedi dopo aver ricevuto un sonoro schiaffone e raccolte le banconote gettategli in faccia dal padre-Tell, né più e nemmeno come Alfredo a Violetta in casa di Flora ne La traviata.
A compensare le incongruenze è venuto il lato musicale. Della vivace e ben calibrata direzione di Jacopo Brusa si è anticipato. I tagli allo spartito, in gran parte a quanto pare imposti dal regista, non li ha decisi lui e va detto che, tolti i ballabili che sono stati omessi nella loro totalità e con loro oltre mezz’ora di musica, l’impianto drammaturgico ha sofferto più negli ultimi due che nel primo e secondo atto. Del resto, per chi come il sottoscritto ha in mente le edizioni proposte fino a tutti gli anni Settanta dello scorso secolo e ne è stato vaccinato, ce ne si può fare una ragione ritenendo che in quest’ambito si possa anche prescindere dal rigore filologico.
Si è trattato di un Tell più che soddisfacente anche per la presenza di un cast molto preparato, ben amalgamato e costituito in gran parte da giovani elementi. Iniziamo dal valido protagonista il baritono albanese Gezim Myshketa, ormai di casa in Italia ed attivo in ruoli di primo piano nei più importanti teatri internazionali. Gli riesce di scolpire con grande credibilità e ed autorità vocale il complesso personaggio di Tell, per corposità del timbro, schiettamente baritonale, per facilità sia nell’acuto che nel richiesto canto fiorito, sebbene il momento di maggior difficoltà interpretativa e di maggior tensione teatrale sia la celeberrima aria “Resta immobile”, per altro espressamente voluta da Brusa con la partecipazione di tutti i violoncelli, e non dell’unico solista, come del resto risulta dai carteggi tra Wagner e Rossini si eseguisse nel 1831 a Parigi. La Matilde del soprano kosovaro Marigona Qerkezi, pure lei artista che appare spesso sulle nostre scene, è pure stata molto apprezzata ed ha ottenuto un lungo e meritato applauso dopo l’aria di sortita “Selva opaca” che apre il secondo atto. Voce di notevole bellezza timbrica, estesa e ben proiettata, dosata con squisite mezze voci, un bel legato e precisione nell’acuto. Una femminilità dolente, ma anche innamorata e quindi decisa e risoluta da un punto di vista interpretativo. Al suo fianco l’Arnoldo sicuro, incisivo e squillante in acuto di Giulio Pelligra, il cui timbro non è particolarmente seducente, ma che canta assai bene, con estrema precisione musicale, dimostrando eccellenti doti di fraseggiatore, giocando con gli accenti più giusti ed incisivi. Già notevole nei duetti, prima con Tell e quindi con l’amata Matilde, è venuto a capo con estrema efficacia ed apparente facilità alla temibile scena che apre il quarto atto, davanti alla casa paterna, con il recitativo “Non mi lasciare, o speme di vendetta” e la successiva aria “O muto asil del pianto” ed infine con la cabaletta che anticipa la “pira” verdiana.
La regia costringe il soprano che veste i panni di Jemmy ad una presenza pressoché costante e ad una recitazione che supera di gran lunga le difficoltà vocali, che pure sono insite nella parte, trasformandolo in una sorta di Gianburrasca elvetico: è stato impersonato in maniera più che perfetta dal soprano Barbara Massaro, non solo per l’aspetto sbarazzino, per la simpatia e la fresca giovinezza, ma pure per le notevoli qualità vocali messe in evidenza soprattutto nei pezzi d’assieme a cui forniva la voce di soprano solista.
La lunga lista di parti di fianco comprendeva il Pescatore del tenore Nico Franchini, cui Rossini impone una barcarola acutissima “Il piccol legno ascendi” risolta con buoni risultati, la ben cantata Edwige del mezzosoprano Irene Savignano, il sonoro Leutoldo del baritono Luca Vianello e gli altrettanto adeguati Davide Giangregorio, Gualtiero, Pietro Toscano, Melchthal, Rocco Cavalluzzi, Gessler e Giacomo Leone, Rodolfo.

Andrea Merli

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