PARMA: Nabucco – Festival Verdi 29 settembre 2019

PARMA: Nabucco – Festival Verdi 29 settembre 2019

NABUCCO

Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera,
dal dramma Nabuchodonosor di Auguste Anicet-Bourgeois e Francis Cornu
e dal ballo Nabuccodonosor di Antonio Cortesi

Musica
GIUSEPPE VERDI
Edizione critica a cura di Roger Parker
The University of Chicago Press, Chicago e Casa Ricordi, Milano

 

Maestro concertatore e direttore FRANCESCO IVAN CIAMPA

Regia STEFANO RICCI

Personaggi Interpreti

  • Nabucco AMARTUVSHIN ENKHBAT
  • Ismaele IVAN MAGRÌ
  • Zaccaria MICHELE PERTUSI (29, 13)
    RUBÉN AMORETTI (3, 20 )
  • Abigaille SAIOA HERNÁNDEZ
  • Fenena ANNALISA STROPPA
  • Il Gran Sacerdote di Belo GIANLUCA BREDA
  • Abdallo MANUEL PIERATTELLI
  • Anna ELISABETTA ZIZZO

Progetto creativo RICCI/FORTE

Scene NICOLAS BOVEY

Costumi GIANLUCA SBICCA

Luci ALESSANDRO CARLETTI

Coreografie MARTA BEVILACQUA

FILARMONICA ARTURO TOSCANINI

ORCHESTRA GIOVANILE DELLA VIA EMILIA

CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

Teatro Regio, 29 settembre


Evento anticipato da presentazioni, incontro con i fautori dello spettacolo, il Nabucco è stato accolto da turbolente contestazioni – a ragion del vero manifestatesi principalmente durante i due siparietti “animati” tra il primo ed il secondo quadro e quindi tra il terzo ed il quarto – rivolte ad una messa in scena che ha lasciato perplesso più di uno anche tra la maggioranza silenziosa, e da un franco successo, con punte trionfali, per la parte musicale.

Una lettura musicale prossima alla perfezione. Così è stato per la direzione infuocata, a tratti quarantottesca, ma anche incline a oasi di lirismo e a soffuse armonie – la preghiera di Zaccaria “Tu sul labbro dei veggenti” con l’obbligato del violoncello, l’intenso “Va pensiero”, giustamente bissato – e soprattutto opportuno sostegno al canto. Francesco Ivan Ciampa si conferma bacchetta tra le più autorevoli ed interessanti oggi su piazza e non solo in Italia. Bene l’orchestra Filarmonica Arturo Toscanini e benissimo il coro guidato come sempre magistralmente da Martino Faggiani. Sul piano squisitamente vocale difficilmente oggi si può allineare un cast migliore, curato anche nei ruoli di fianco in cui si sono distinti il potente Gran Sacerdote di Belo del basso Gianluca Breda, la svettante Anna del soprano Elisabetta Zizzo ed il preciso, musicale Abdallo del tenore Manuel Pierattelli.

La presenza del basso Michele Pertusi, gloria di Parma e giustamente amatissimo dal temibile loggione, che ha sostituito alla “prova generale” un collega straniero, ha indubbiamente contenuto le intemperanze che, prevedibilmente, non avrebbe fatto passare indenne uno dei momenti registici più incongruenti quando, seduto in proscenio col rosario in mano, dietro a lui dei mimi danzatori si sbilanciavano in una coreografia imbarazzante. Ciò detto, il “salvator della Patria” ha anche dimostrato di essere un professionista coi fiocchi, inserendosi con sicurezza nello spettacolo e cantando con la sua conosciuta maestria vocale ed interpretativa. Bene, benissimo anche la coppia dei due sfortunati amanti, Ismaele e Fenena: lui, il tenore catanese Ivan Magrì, dalla voce svettante e dal canto veeemente, lei il mezzosoprano bresciano Annalisa Stroppa, dalla voce rotonda, ambrata e facile all’acuto, ma soprattutto intensa, emozionante nella struggente preghiera “Oh dischiuso è il firmamento”, altro momento sottolineato magistralmente dalla direzione di Ciampa.

La coppia dei “cattivi”, poi redenti in un’ottica assolutamente cristiana, semplicemente strepitosa. La madrilena Saioa Hernandez si conferma uno tra i massimi soprani oggi in circolazione e Cristina Ferrari, direttrice del Teatro Municipale di Piacenza presente alla “prima”, può essere giustamente orgogliosa di averla “scoperta” con intuito infallibile, offrendole la possibilità di imporsi al pubblico italiano, alla Scala e poi nel mondo. La Abigaille della Hernandez, dotata di una vocalità lussureggiante che per colore e metallo luminoso ricorda quella della compianta Ghena Dimitrova, si impone sia nel canto dolce e spianato di “Anch’io dischiuso un giorno” che nelle agilità, opportunamente variate nella ripresa della cabaletta, di “Salgo già del trono aurato”. Un canto pieno di passione, ma anche tagliente ed attraversato da beffarda ironia nel duetto del terzo atto con Nabucco, per giungere ad un finale semplicemente toccante. Brava, bravissima e il pubblico gliel’ha dichiarato con grida ed applausi a scena aperta e alla ribalta finale. Sul protagonista, il baritono mongolo Amartushin Enkhbat. che seguo dal suo debutto di ruolo a Novara due anni fa, posso solo dire che dimostra un’ulteriore crescita interpretativa in una parte che gli calza a pennello. L’autorità dell’interprete, che fraseggia, accenta con una precisione e proprietà da crederlo, chiudendo gli occhi, italiano, si sposa con la voce baciata da Dio per la bellezza del timbro, per il velluto e la morbidezza del suono, per la facilità dell’estensione con una ricchezza di armonici sbalorditiva, ma che gli riesce destreggiare in mezze voci, suoni sussurrati e con un legato di alta scuola. Trionfo scontato e, per chi firma, sincera commozione.

Mi sono ripromesso di non consumare inchiostro su uno spettacolo che mi è parso fuorviante e pretestuoso. Il problema, di questo ed altri analoghi esempi di “teatro di regia”, è quando il regista crea un “film” tutto suo e tratta la musica quasi fosse una sorta di colonna sonora, sconvolgendo ed ignorando la trama, la drammaturgia. Sarebbe il caso di riflettere sulla risposta di buona parte del pubblico. Parma, piaccia o no, per caratteristiche culturali e geografiche, non può essere Salisburgo o Glyndebourne. Ha una sua tradizione, quella del rispetto della musica e della drammaturgia creata e scelta da Verdi. Il pubblico italiano e straniero che si reca a Parma, non solo lo “zoccolo duro” del loggione che sinceramente trovo insultante liquidare come “ignorante” o “incartapecorito” quando conosce a memoria le opere e dimostra di essere molto vivace, si aspetta un’offerta che si distingua da quella abituale oltralpe. Rinnovamento? Certo, ma evitando le decontestualizzazioni fini a se stesse. L’opera fa riflettere e si apprezza per il suo contenuto originale, senza necessità di sovrastrutture e improbabili implicazioni socio-politico-ecologiche che con essa non hanno nulla da spartire.

Andrea Merli

 

Foto Roberto Ricci Teatro Regio di Parma

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