I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA – Giuseppe Verdi, Romania 26 settembre 2019

I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA – Giuseppe Verdi, Romania 26 settembre 2019

I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA – Giuseppe Verdi

Romania – Cluj-Napoca

 

Kolozsvàri Magyar Opera, 26 settembre 2019


L’antica Castrum Clus dell’impero romano (fondata ai tempi dell’imperatore Traiano nel 107 D.C.) già Claudianopolis, quindi Kolozsvar e Klausenburg per ungheresi e tedeschi, dal 1952, sotto la dittatura di Nicolae Ceaușescu, finalmente Cluj-Napoca, è oggi una ridente città di circa 370 mila abitanti, secondo polo culturale ed economico della Romania. La presenza di due teatri d’opera, contemporaneamente attivi con due stimolanti stagioni, l’Opera di Stato Rumena bellissimo edificio d’epoca asburgica ed il più moderno Kolozsvarì Magyar Opera, edificio databile negli anni trenta dello scorso secolo, ma riformato in tempi più recenti, può solo stupire noi italiani che fatichiamo a mantenere aperti i nostri teatri. Il gancio per visitare la città e accettare l’invito del Teatro Magiaro ce l’ha offerto una cantante rumena, naturalizzata svizzera, di casa anche in Italia: Elena Mosuc, qui debuttante il ruolo di Giselda, giunta al culmine di una carriera che l’ha vista partire come soprano di coloratura in ruoli principalmente di Bellini, Donizetti e Verdi, e che da un po’ di tempo affronta con successo ruoli decisamente più lirici.

Cluj è una città stimolante, animata da mille ed una attività – nel Teatro d’Opera rumeno in contemporanea andava in scena una nuova produzione del verdiano Macbeth con il soprano venezuelano Ana Lucrecia Garcia – e un primo contatto con una realtà musicale degna di nota: quella del Teatro dell’Opera Magiara. Una struttura autonoma che tra comprensibili difficoltà economiche, ma con un entusiasmo ammirevole, ha offerto in prima nazionale I lombardi alla prima crociata, A Lombardok in ungherese, Lombarzii in rumeno giacché programma di sala e i sovratitoli sono pure nelle due lingue locali, sebbene in teatro e tra il pubblico prevalga di gran lunga l’ungherese. Questa comunione linguistica, lungi dall’essere un ostacolo, dimostra come possano convivere e comprenetrarsi in piena armonia due mondi di radici etniche diverse.

Iniziamo con l’ottima prova delle masse artistiche, orchestra dove si è apprezzato il primo violino Sàndor Barabàs nell’assolo del terzo atto, e coro costituito da elementi in gran parte giovani e molto partecipi all’azione scenica, come di rado si vede da noi in Italia. Maestro del coro e direttore d’orchestra il talentuoso Maestro Szabolcs Kulcsàr, ancora giovane ma di navigata esperienza, che ha sostenuto idealmente il palcoscenico ed ha impresso allo spartito i giusti empiti battaglieri e quarantotteschi, sottolineandone però anche i momenti di espansione lirica: per esempio nella preghiera di Giselda del primo atto e nell’aria di Oronte a inizio secondo atto. Un artista che meriterebbe di essere conosciuto fuori dai confini nazionali.

Il cast ha annoverato quasi tutti artisti stabili e ciò ha permesso di valutare l’alto livello medio dei solisti di canto. Il soprano Judit Hary, Sofia di slancio lirico, l’ottima Viclinda di Zsuzsa Barabàs di elegante portamento, l’autorevole e preciso Acciano del basso Làszlò Mànayoki, i non meno lodevoli Zsombor Rétyi, tenore e Priore di Milano e Arnold Gergely, basso e Pirro nell’opera. Il tenore Lupu Sorin ha fornito una prova convincente nel pure impegnativo ruolo di Arvino, esibendo una voce schietta ed una sicura musicalità; molto bravo l’aitante basso baritono Istvàn Kovàcs, Pagano di bel colore vocale e dalla voce potente e ben emessa, qualche comprensibile difficoltà nella dizione, che meriterebbe d’essere sciacquata in Arno: pure lui da riascoltare e magari in Italia. Ottima l’impressione che ha lasciato il tenore Adorjan Pataki, giovane ed impetuoso Oronte, dalla voce schiettamente tenorile, ricca di squillo e di bel metallo, facile in acuto e fraseggiatore non banale, anzi acceso e partecipe specie nel duetto con Giselda. Infine l’unica “vera” rumena del cast, Elena Mosuc che ha realizzato una stupenda presa di ruolo e che lascia intravedere future e preziose acquisizioni, non solo in campo verdiano. L’intelligenza dell’interprete, cui si somma la ferrata tecnica dell’artista che domina lo strumento su tutta la gamma, fa sì che non scenda a compromessi e canti senza forzare in zona medio grave, per altro raggiunta e sostenuta senza sforzo. Gli acuti, in questo caso fino ad un trionfale e luminoso Re sovracuto, sono l’asso nella manica, ma anche le agilità, comprese quelle di forza della temibile cabaletta a tempo di bolero “Non fu sogno”, sono notevoli e sciolte con fluida naturalezza; è ammirevole la sua capacità di penetrazione della parola cantata, resa con un accento vivido ed emotivamente efficace. Il suo è stato un trionfo personale, confermato dall’applauso ritmato rivolto anche al resto della compagnia, unita nel successo esploso alla fine con interminabili applausi.

Successo che ha pure coinvolto i fautori dello spettacolo, il regista ungherese Csaba Némedi, attivo specialmente a Vienna, lo scenografo e costumista Gilles Gubelmann. La tentazione di fare del teatro di regia è sempre fortissima, e non s’è smentita nella breve azione scenica che ha preceduto l’inizio dell’opera, quando uno strillone ha attraversato la platea ed è poi salito in palcoscenico per vendere copie… della “Domenica del Corriere”! L’azione si è trasportata alle soglie del novecento, coincidendo con la morte di Verdi e con le guerre coloniali che il giovane regno d’Italia aveva intrapreso in Africa.

Inizialmente Giselda, seduta su un letto da corsia ospedaliera, sfoglia un album di foto che, sullo sfondo, è replicato da una serie di pannelli girevoli, dove vengono proiettate altrettante immagini: la basilica di Sant Ambrogio, scene di guerra, ecc. Si intuisce che si è fatto con poco molto, cioè con un badget limitatissimo uno spettacolo che però non tradisce la drammaturgia e che il pubblico ha potuto seguire senza difficoltà. E ciò, oggi come oggi, è sempre un merito e quindi ci si associa al plauso per la parte visiva che, e ciò che poi conta, è piaciuta a tutti e tantissimo.

Andrea Merli

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