MARTINA FRANCA: IL MATRIMONIO SEGRETO – Domenico Cimarosa, 3 agosto 2019

MARTINA FRANCA: IL MATRIMONIO SEGRETO – Domenico Cimarosa, 3 agosto 2019

CRONCHE DA MARTINA FRANCA

45ESIMO FESTIVAL DELLA VALLE D’ITRIA

IL MATRIMONIO SEGRETO – Domenico Cimarosa

Dramma giocoso di Domenico Cimarosa

Libretto di Giovanni Bertati

Direttore Michele Spotti
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci / Regista assistente Massimo Gasparon

  • Signor Geronimo Marco Filippo Romano
  • Elisetta Maria Laura Iacobellis
  • Carolina Benedetta Torre
  • Fidalma Ana Victoria Pitts
  • Conte Robinson Vittorio Prato
  • Paolino Alasdair Kent

Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari

 

Cortile del Palazzo Ducale, 3 agosto 2019


Opera di apertura della 45esima edizione del Festival della Valle D’Itria – che comprendeva pure un omaggio a Offenbach nel bicentenario della nascita con l’Opéra-comique in due atti Coscoletto, ovvero il lazzarone nella versione ritmica italiana di Sandro Cappelletto, ma che purtroppo per motivi di date non si è riusciti a cogliere – Il matrimonio segreto, non necessita presentazioni. Capolavoro assoluto, e non solo nella produzione di Domenico Cimarosa, dotato di un libretto a dir poco strepitoso di Giovanni Bertati, ci si stupisce che non compaia con maggiore assiduità sulle nostre scene.

Un’opera che dal suo debutto viennese al Burgtheater il 7 febbraio 1792 alla presenza dell’imperatore Leopoldo II, il quale ne fu talmente entusiasta da giustificare la leggenda per cui Il matrimonio segreto fu bissato la sera stessa, dopo il banchetto, negli appartamenti privati del sovrano, ha riscosso l’ammirazione generale di compositori della vaglia di un Rossini, Schumann, Verdi e di scrittori e poeti, da Stendhal a D’Annunzio, considerata ideale anello di congiunzione tra la produzione dell’ultimo Mozart e gli operisti italiani da Mayr e Paer a Rossini.

Ora è anche vero che su questo caposaldo del Settecento italiano ed autentico capolavoro può stendersi una soporifera coltre di noia qualora non sia sostenuto da uno spettacolo frizzante e da una direzione d’orchestra stimolante, oltre che a un cast di tutto rispetto. Qui a Martina Franca, per una felicissima congiunzione astrale, è avvenuto il “miracolo” che in oltre 50 anni di frequentazione teatrale impiccionescamente attendevo. Iniziando per l’elettrizzante spettacolo ideato da Pier Luigi Pizzi che ha dimostrato, ce ne fosse bisogno, che alla soglia dei suoi primi novant’anni l’età pensionabile non è per lui “quota cento”. Con la consueta maestria e la innata eleganza che contraddistingue i suoi allestimenti, egli ha saputo giostrare sagacemente quest’impianto fisso, che come si è detto deve servire a ben tre titoli assai differenti stilisticamente l’uno dall’altro, portando l’azione ai nostri tempi, trasformando la scena in un sorta di loft su cui si aprono altrettante porte quanti sono i personaggi e insuflando al tutto uno spirito scatenato di commedia d’equivoci ed intrecci alla Feydeau. Il moderno Don Geronio è il tipico borghese che vuole avanzare socialmente, un gallerista d’arte che in casa lle pareti ha una ricca collezione di autori simbolo della modernità: Fontana ed i suoi “tagli“, Bonalumi, Castiglioni e Burri con le sue “combustioni”. Paolino, oggetto del desiderio forse non solo delle donne di casa, è il suo segretario tutto fare, il Conte Robinson non ha assolutamente nulla di “nobile”, ma piuttosto è l’incarnazione di quei playboy alla Corona che fanno scalpore sulle riviste patinate e che garantiscono quella “visibilità” che oggi pare essere indispensabile. Tant’è che la sua decisione di sposare Elisetta, dopo avergliene dette di tutte, rientra nella prassi del “Grande fratello” piuttosto che “Isola dei famosi”. Incredibile, si fa per dire, ma vero tutto funziona a meraviglia anche perché, oltre alla bravura di tutti gli interpreti, si è ottenuta con una recitazione calibratissima e mai volgare, la massima credibilità scenica. E così al Paolino del delizioso, soprattutto fisicamente, tenore australiano Alasdair Kent, si perdona un’esecuzione vocalmente un po’ acerba, ma che rende al massimo lo spirito del personaggio. Impagabile la scena in cui Fidalma, una allupata e vocalmente centratissima Ana Victoria Pitts, lo spoglia e cerca di sedurlo facendolo svenire… dallo spavento. Situazione che gisutifica la reazione di Carolina, una spumeggiante e bravissima Benedetta Torre che ci ha ricordato nella chiarezza della dizione e nell’espressività del canto, con uno spruzzo di civetteria e malizia, l’indimenticabile ed amata Daniela Mazzucato, tra le più rinomate specialiste della parte della “sposa segreta”. Favorita dalla riapertura del taglio della sua difficile ed impegnativa aria nel secondo atto, è piaciuta tantissimo anche l’Elisetta del soprano Maria Laura Iacobellis, perfettamente inserita nel gioco scenico, molto spiritosa ed anche autoironica. Vittorio Prato, Conte Robinson, ne è stata l’incarnazione ideale per vivacità scenica, perfetto quale bell’imbusto un po’ strafottente, vocalmente apprezzabile. Infine una nota di maggior merito al bravissimo Don Geronio di Marco Filippo Romano che si conferma, nella italiana e fortunata lista dei baritoni buffi, nei primissimi posti e che per vocalità può essere paragonato ad un Bruscantini mentre scenicamente pare l’erede di Enzo Dara e con ciò si dice tutto.

Infine la prova dell’orchestra, ottima quella del Teatro Petruzzelli di Bari, guidata dal poco più che ventenne Michele Spotti. Ora ammetto di essere di parte, avendo assistito al suo straordinario debutto, al Rosetum di Milano quando era ancora un teenager e frequentava il conservatorio, nel 2014 nella compagnia di Gianmaria Aliverta in un Elisir d’amore che ne rivelò lo straordinario talento. Bene fa Alberto Triola ha fornire l’occasione e a dare spazio a questi giovanissimi direttori che in pochi anni hanno già dimostrato in Italia ed all’estero la loro precocità. A parte la tenuta del palcoscenico, come se avesse alle spalle anni di esperienza, Spotti ha impresso una direzione che ci ha fatto davvero volare, il tempo, e l’opera la quale, giudicata troppo lunga nel 1792 a Vienna, a noi è parsa nella sua integralità quasi troppo corta. E se ci fosse stato un banchetto dopo lo spettacolo, ne avremmo preteso il bis!

Andrea Merli

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