MACERATA: RIGOLETTO – Giuseppe Verdi, 21 luglio 2019

MACERATA: RIGOLETTO – Giuseppe Verdi, 21 luglio 2019

Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave dalla tragedia di Victor Hugo Le Roi s’amuse
Editore Casa Ricordi, Milano

 

DIRETTORE GIAMPAOLO BISANTI
REGISTA FEDERICO GRAZZINI
  • IL DUCA DI MANTOVA ENEA SCALA
  • RIGOLETTO AMARTUVSHIN ENKHBAT
  • GILDA CLAUDIA PAVONE
  • SPARAFUCILE SIMON ORFILA
  • MADDALENA MARTINA BELLI
  • GIOVANNA ALESSANDRA DELLA CROCE
  • IL CONTE DI MONTERONE SEUNG-GI JUNG
  • MARULLO MATTEO FERRARA
  • MATTEO BORSA VASYL SOLODKYY
  • IL CONTE DI CEPRANO CESARE KWON
  • LA CONTESSA DI CEPRANO ANASTASIA PIROGOVA
  • UN PAGGIO DELLA DUCHESSA RAFFAELLA PALUMBO
  • UN USCIERE DI CORTE GIANNI PACI
SCENE ANDREA BELLI
COSTUMI VALERIA DONATA BETTELLA
LUCI ALESSANDRO VERAZZI*
*RIPRESE DA LUDOVICO GOBBI

Orchestra Filarmonica Marchigiana

Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”

Martino Faggiani maestro del coro
Massimo Fiocchi Malaspina altro maestro del coro

Banda “Salvadei” complesso di palcoscenico

Produzione dell’Associazione Arena Sferisterio per il Macerata Opera Festival 2015

Arena Sferisterio, 21 luglio 2019


Terzo titolo in cartello Rigoletto in una produzione già collaudata allo Sferisterio. La regia di Federico Grazzini (scene di Andrea Belli, costumi di Valeria Donata Bettella, luci di Alessandro Verazzi riprese da Ludovico Gobbi) ci trasporta ai tempi nostri in un Luna Park in disarmo, dominato dalla enorme ed inquietante maschera di un Clown la cui bocca funge da ingresso dal fondo scena. La scena è assai scarna: una vecchia roulotte sulla destra dello spettatore è la dimora di Gilda e Rigoletto; a sinistra un furgone, piuttosto scalcagnato, serve da osteria a Sparafucile che nottetempo vende birre e panini con la porchetta.

Curata nei dettagli la recitazione, l’azione si sbroglia senza particolari contraddizioni, poiché il Duca altri non è che un malavitoso ingioiellato, attorniato dai sui scagnozzi, volgari e violenti quanto lui. Nell’ultima scena, quando il Luna park diventa un luogo di transito per battone in cerca di clientela, il furgone di Sparafucile è spostato in centro scena e, a dire il vero, manca qualcosa (un muro? Basterebbero due cassonetti per l’immondizia) che possa servire per nascondere Gilda e suo padre alla vista del Duca, di Maddalena e di suo fratello. Per altro lo Sferisterio, nella sua attuale programmazione, sembra insistere su queste letture decontestualizzate e, va detto, qui il pubblico le recepisce senza fare un plissé.

L’opera diretta da un’altra colonna tra i nostri direttori d’orchestra, Giampaolo Bisanti, è stata eseguita praticamente senza tagli, compresa la ripetizione della cabaletta del Duca nel secondo atto. Bisanti procede con un ritmo narrativo teso, ma deciso nella ricerca dei colori, della “tinta” che in quest’opera quasi sempre notturna ha momenti algidi, angoscianti, ma anche la luminosità della luce lunare, per esempio nell’aria quasi mozartiana “Caro nome”. Si accetta volentieri, poiché il teatro ed il disco non son la stessa cosa, qualche compromesso con la tradizione: il cedere a qualche libertà esecutiva, per esempio la corona sul Si non scritto alla fine della canzone “La donna è mobile”, ripreso poi ancora più spavaldamente fuori scena dallo squillante tenore Enea Scala, il quale dotato di un fisico palestrato si è pure esibito spogliandosi sotto una vestaglia leopardata. La sua resa, sia musicale che scenica, è parsa davvero meritevole dei lunghi e prolungati applausi che hanno pure accolto la trepidante, fresca e ben cantata Gilda del soprano Claudia Pavone, nonché il bel tenebroso Sparafucile del basso Simon Orfila e la dotatissima, sia fisicamente che vocalmente, Maddalena del mezzosoprano Martina Belli, una bellezza mozzafiato. Ben assortito il folto comprimariato: il buon Monterone del basso Seung-Gi Jung, il Marullo di Matteo Ferrara, il Matteo Borsa di Vasyl Solodkyy assieme al Conte di Ceprano di Cesare Kwon. Molto in parte la Giovanna “rasta” della scenicamente irriconoscibile Alessandra Della Croce, bene pure l’episodico Paggio, in vesti femminili al telefono con la Duchessa, della minuta Raffaella Palumbo e puntuale l’usciere di corte di Gianni Paci. Perfetto il coro maschile, come sempre nelle mani di Martino Faggiani, anche nei movimenti scenici.

Il Rigoletto di Amartuvshin Enkhbat merita un capitolo a parte. Che il baritono della Mongolia sia dotato di una voce eccezionale per ampiezza, colore ed estensione, è ormai noto ai più. Ciò che colpisce anche chi lo ascolta per la prima volta è la aderenza al personaggio, qui poi reso con una regia non convenzionale, musicalmente ed ora e sempre di più interpretativamente, con una maturazione evidente nell’appropriarsi di un ruolo di cui pare, oggi come oggi, il miglior esecutore possibile. Che poi il suo modo di porgere la voce personalmente tocchi la fibra e commuova è un fattore personalissimo. Forse non arriva a tutti, io ne sono assolutamente preso e lo confesso pubblicamente.

Andrea Merli

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