ARENA DI VERONA: LA TRAVIATA – Giuseppe Verdi, 21 giugno 2019

ARENA DI VERONA: LA TRAVIATA – Giuseppe Verdi, 21 giugno 2019

Direttore d’orchestra Daniel Oren

Regia e scene Franco Zeffirelli

Personaggi e Interpreti:

  • Violetta Valéry Aleksandra Kurzak
  • Flora Bervoix Alessandra Volpe
  • Annina Daniela Mazzucato
  • Alfredo Germont Pavel Petrov
  • Giorgio Germont Leo Nucci
  • Gastone di Letorières Carlo Bosi
  • Barone Douphol Gianfranco Montresor
  • Marchese d’Obigny Daniel Giulianini
  • Dottor Grenvil Romano Dal Zovo
  • GiuseppeMax René Cosotti
  • Domestico/Commissionario Stefano Rinaldi Miliani

Primi ballerini Petra Conti, Giuseppe Picone

Costumi Maurizio Millenotti

Coreografia Giuseppe Picone

Luci Paolo Mazzon

Maestro del Coro Vito Lombardi

Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino

Direttore Allestimenti scenici Michele Olcese

Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona

Orchestra, Coro, Ballo e Tecnici dell’Arena di Verona

Arena, 21 giugno 2019


13 milioni di telespettatori solo in Italia, collegamento in mondovisione, la presenza del Capo dello Stato, Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e di un largo seguito di autorità, il vasto spazio dell’Arena occupato in ogni ordine di posti: la Sovrintendente Cecilia Gasdia ha di ché andarne fiera.

La morte di Franco Zeffirelli, avvenuta lo scorso sabato 15 giugno, ha ricevuto così l’omaggio più moltitudinario: quello di coloro che via etere o presenti nell’anfiteatro romano hanno assistito al suo ultimo, e postumo, lavoro registico. Una Traviata che, sebbene realizzata dal regista collaboratore Massimo Luconi e dallo scenografo Carlo Centrolavigna, rappresenta in pieno lo stile e lo spirito del Maestro, deceduto alla venerabile età di novantasei anni.

Fedele a trama ed ambientazione, quella contemporanea al tempo della sua creazione al Teatro La Fenice di Venezia nel Carnevale del 1853, e magniloquente come si confà ad uno spazio infinito davanti a oltre 12mila presenze come avviene, appunto in Arena. Là dove le sperimentazioni registiche stentano a decollare e dove buona parte del pubblico, costituito in maggioranza da stranieri, esige la tradizione “all’italiana” più autentica, aderente al testo e alla musica. In ciò non è stato deluso, poiché tutto ha funzionato a meraviglia, nonostante come sempre in Italia si sia arrivati ai nastri di partenza col fiato alla gola, anche e comprensibilmente in questo caso per l’evento luttuoso.

Costumi ricchi e cromaticamente centrati di Maurizio Millenotti, coreografie azzeccatissime pure, di Giuseppe Picone, tra l’altro abile primo ballerino nel quadro della casa di Flora, scena che al suo apparire ha ottenuto un meritatissimo applauso a scena aperta. Luci suggestive di Paolo Mazzon. In definitiva, un prodotto tipical Arena destinato non solo a piacere, ma anche a successive riprese.

Musicalmente il successo è stato del pari, con un pubblico ansioso di applaudire le singole arie, duetti e concertati e che, alla fine, ha costretto gli artisti, alla ribalta per gli applausi, a bissare il celebre “brindisi” con il Maestro Daniel Oren intento a dirigere l’applauso ritmato della folla entusiasta, come né più e  nè meno avviene al concerto di Capodanno a Vienna con la Marcia Radetzky e infatti, un buontempone dalle gradinate, ha pure gridato “Buon anno!”.

Orchestra, va subito detto, in grande spolvero, coro molto bel istruito da Vito Lombardi e una tenuta musicale sicura, nel ripescare e ricondurre in riga i momenti di sbando, che in Arena sono sempre possibili, seppure mantenendo tempi allargati, a volte estenuanti, ma di sicuro effetto. Oren, visibilmente afflitto da problemi nella deambulazione, ha compiuto un’operazione per molti versi eroica.

La stagione estiva non poteva iniziare meglio e un probabile crescendo seguirà anche queste recite di Traviata in cui si alterneranno voci ed interpreti prestigiosi. Già alla “prima” è piaciuta molto la bella Violetta di Alessandra Kurzak, ricca di temperamento e di passione, capace di tenere un considerevole Mi bemolle (non scritto) a fine cabaletta, di risultare trascinante nella perorazione “Amami Alfredo” e persino commovente in tutto il terzo atto dove assume toni tragici di particolare intensità e crudezza. Qualche slittamento di intonazione, a tratti crescente, può essere attribuito alla tensione comprensibile per il difficile debutto, ma l’interprete ne è uscita vittoriosa. Stesso discorso di “vittoria anticipata” per il glorioso Germont di Leo Nucci, che non rinuncia alla “tenera” età di settantasette anni a prodigare zampate leonine di vocalità e di temperamento. Di fronte a lui si spendano tutti gli aggettivi possibili, non saranno mai sufficienti. Oltre la sufficienza il giovanissimo tenore Pavel Petrov, che per altro ha esibito uno spavaldo Do acuto (sempre omesso) a fine cabaletta nel secondo atto. Va lodato per la fermezza ed il coraggio nell’affrontare a sangue freddo quella che tutt’oggi può esser considerata una “fossa dei leoni”, sebbene non vi si sacrifichino più cristiani e gladiatori. Vincitore di un concorso Operalia, esibisce una voce di bel timbro seppure da tenere ancora al chiuso e, anche come interprete, da non lanciare allo sbaraglio areniano. Se l’è cavata comunque ed è stato accomunato nel gaudio generale. Buono il livello delle parti di fianco, dove si sono apprezzate le prove di Alessandra Volpe, Flora Bervoix, di Gianfranco Montresor, Barone Douphol, di Daniel Giulianini, Marchese d’Obigny. Menzione speciale all’ottimo e giovane basso Romano Del Zovo, dottor Grenvil e sempre una garanzia il tonante tenore Carlo Bosi, qui nei panni del Viscontino Gastone di Letorières. Citato il Commissionario e Domestico di Flora di Stefano Rinaldi Milani, perfetto nel suo aplomb, restano due autentiche chicche: la Annina del soprano Daniela Mazzucato ed il Giuseppe del tenore Max René Cosotti: di questo si dica solo che nelle poche frasi a lui concesse fornisce una lezione di canto, per armonici e penetrazione del suono; della Mazzucato basti la classe e la musicalità della somma artista, che sprigionano sempre e pure in una parte dimessa e marginale.

Finito il canglore mediatico, è bello ricordare Zeffirelli proprio così: nell’estrema cura dei dettagli.

Andrea Merli

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