VERONA: Don Giovanni – Teatro Filarmonico 27 gennaio 2019

VERONA: Don Giovanni – Teatro Filarmonico 27 gennaio 2019

DON GIOVANNI 

Wolfgang Amadeus Mozart

 

Direttore Renato Balsadonna

Regia e scene Enrico Stinchelli

  • DON GIOVANNI Andrea Mastroni (27, 31 /01 – 3/02), Pier Luigi Dilengite (29/01)
  • IL COMMENDATORE George Andguladze (27, 29, 31/01 – 3/02)
  • DONNA ANNA Laura Giordano (27/01 – 3/02) Sylvia Schwartz (29, 31 /01)
  • DON OTTAVIO Antonio Poli (27, 29/01) Oreste Cosimo (31/01 – 3/02)
  • DONNA ELVIRA Veronika Dzhioeva (27, 31 /01 – 3/02) Valentina Boi (29/01) 
  • LEPORELLO Biagio Pizzuti (27, 29, 31/01 – 3/02)
  • MASETTO Davide Giangregorio (27, 29, 31 /01 – 3/02)
  • ZERLINA Barbara Massaro (27, 31 /01 – 3/02) Cristin Arsenova (29/01)

Costumi Maurizio Millenotti

Visual design Ezio Antonelli

Lighting design Paolo Mazzon

Maestro del Coro Vito Lombardi

Direttore Allestimenti scenici Michele Olcese

ORCHESTRA, CORO E TECNICI DELL’ARENA DI VERONA

Nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona

 

Teatro Filarmonico 27 gennaio 2019


In principio doveva essere Mefistofele, ricorrendo nel 2018 l’anniversario dei cent’anni dalla morte dell’Autore, quell’Arrigo Boito quasi negletto come musicista. Poi, per i “soliti” problemi economici, a cui nemmeno l’Ente Arena riesce a sottrarsi, si è virato verso il Don Giovanni che ha inaugurato così la stagione 2019 lo scorso 27 gennaio.

Va anticipato che un buon motivo c’era: approfittare dei bellissimi costumi creati da Maurizio Millenotti per la monumentale produzione a firma Zeffirelli del 2012, ripresa poi nel 2015. Ovviamente quell’imponente costruzione barocca non aveva capienza nel pur grande palcoscenico del Teatro Filarmonico, ma affidando regia e scene ad Enrico Stinchelli si è colto nel segno dell’eleganza, del rispetto della drammaturgia e dello stile, e di una cifra teatrale, al pari di quella del Fiorentino, facilmente riconoscibile.

Come si è già avuto modo di apprezzare proprio nel suo precedente Mefistofele del circuito toscano e pure nell’Attila, di cui si vide la prima in quel di Modena, dove come si lesse da più parti: “l’opera sposa il cinema”, Stinchelli può definirsi il “mago” delle luci e delle video proiezioni, che domina con una precisione direi maniacale e con una ricerca ossessiva delle immagini. Gli riesce di creare illusioni ottiche tridimensionali praticamente dal nulla e non si pensi che ciò sia un giochetto facile; richiede oltre che l’esatta cognizione storica dell’epoca – in questo caso specifico, il secolo diciottesimo – una preparazione tecnica ed un’equipe di non meno che eccezionali Visual Designers, a Verona capeggiati da Ezio Antonelli, nell’ordine Federica Carboni, Roberto Santoro e Giuseppe Flora, affiancati dal pur bravissimo disegnatore delle luci Paolo Mazzon. Praticamente in scena tre enormi stipiti vuoti, alcune cornici discendenti dal soffitto contenenti ritratti che, nel caso del protagonista, si animano e prendono vita, scarso ed essenziale l’attrezzo: un carretto infiorato per il matrimonio di Zerlina e Masetto, due spade, due candelabri e poco più. Tutto però funziona a meraviglia e, in virtù della regia mai prevaricante ed assolutamente leggibile nello svolgimento del dramma giocoso che nei versi di Lorenzo Da Ponte gode sempre di una attualità innegabile, il lavoro sui solisti risulta logico ed efficace. Così l’individuazione del carattere ben diverso delle tre donne, l’una insoddisfatta del compassato promesso sposo e, in realtà, vogliosa di trasgressione, l’altra un’autentica “stolker” nella sua isteria e la terza frivola nella sua incoscienza. Perfetta la coppia Leporello, che ammira ed aspira ad essere come il suo padrone, e Don Giovanni, votato a vivere la vita con sarcastica arroganza e, alla fine “gran burattinaio” di tutta la faccenda. Un lavoro meticoloso, dunque, che è stato molto apprezzato dal pubblico che ha affollato la pur vasta sala veronese.

Successo con punte trionfali per il ben assortito cast: in primis per il debuttante Andrea Mastroni, passato agevolmente dal demone di Boito all’eroe mozartiano. Voce ampia e ben timbrata di autentico basso, assai sciolto scenicamente e preciso musicalmente già ai nastri di partenza. Un ruolo in cui, una volta ben metabolizzato, si imporrà sui palcoscenici internazionali anche perché aiutato da un fisico ideale per rendere l’infatuazione femminile verso il libertino, specie nelle scene di erotismo ricreate nel finale, dove poi le donne si trasformano in Erinni e lo spingono nelle fiamme. E’ piaciuto assai il Leporello di Biagio Pizzuti, un giovane baritono vincitore della prima edizione del primo concorso intitolato a Beppe De Tomasi, artista in ascesa che non ha trovato difficoltà nel calarsi in un ruolo di bass-bariton che prevede discese al grave, specie nel secondo atto. Alla bella voce e buona tecnica si somma un’abilità scenica, una simpatia naturale, fuori dal comune. Perfetto nel suo aplomb pure il Don Ottavio del tenore Antonio Poli, messo a dura prova da tempi allargati a dismisura durante le arie, che ha risolto con pertinenza stilistica ed ottima emissione. Fresco e baldanzoso il brillante Masetto di Davide Giangregorio e sufficientemente autorevole il Commendatore del basso georgiano George Andguladze, amplificato con tono sinistro nella scena del cimitero e quindi alla cena in casa di Don Giovanni.

Bene, benissimo le tre donne – cui si è sommata la serva (muta, ovviamente) di Donna Elvira: questa il soprano russo Veronika Dzhioeva, dalla voce scorrevole e ben proiettata, che è venuta a capo con onore alla sua temibile aria del secondo atto “Mi tradì quell’alma ingrata”. Per Laura Giordano, Donna Anna di assoluto riferimento che ritorna ad un ruolo che le sta a meraviglia, è stato anche un bel successo, sottolineato dagli applausi dopo le sue arie. Una Donna Anna sostenuta, ma anche lirica e pregevole nei languidi abbandoni oltre che nelle spericolate agilità. Altro bel debutto quello della giovanissima Barbara Massaro, Zerlina. Una ragazza di cui si segue con interesse e, perché no, affetto la precoce carriera. Trepidante e musicalissima, spiritosa ed ammiccante, una stupenda e riuscitissima presa di ruolo.

Rimane da dire del coro, sempre puntuale e pure partecipe alla scena quello di Verona istruito da Vito Lombardi e dell’orchestra dell’Arena che si è destreggiata con pulizia e precisione sotto la bacchetta di Renato Balsadonna, il quale tolto qualche eccesso agogico – in lentezza, s’è già detto, ed in velocità nella fatidica “aria dello Sciampagna” dove si è corso il rischio di perdere per strada il cantante – ha portato in porto sicuro l’opera; una messa a fuoco, la sua, destinata a migliorare in corso di replica.

Andrea Merli

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