PIACENZA: La Gioconda – prova generale del 14 marzo 2018
AMILCARE PONCHIELLI
LA GIOCONDA
Dramma in quattro atti di Arrigo Boito (firmatosi con lo pseudonimo e anagramma di Tobia Gorrio)
direttore: Daniele CALLEGARI
regia: Federico BERTOLANI
Personaggi e interpreti:
- La Gioconda: Saioa Hernández
- Enzo Grimaldo: Francesco Meli
- Barnaba: Sebastian Catana
- Laura Adorno: Anna Maria Chiuri
- Alvise Badoero: Giacomo Prestia
- La Cieca: Agostina Smimmero
- Zuàne: Graziano Dallavalle
- Un Cantore: Nicolò Donini
- Isèpo: Lorenzo Izzo
- Un Pilota/Barnabotto: Simone Tansini
Andrea BELLI, scene
Valeria Donata BETTELLA, costumi
Fiammetta BALDISERRI, disegno luci
Monica CASADEI, coreografie
ORCHESTRA REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
Corrado CASATI, maestro del coro
VOCI BIANCHE DEL CORO FARNESIANO DI PIACENZA
Mario PIGAZZINI, maestro del coro
Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza,
Fondazione Teatro Comunale di Modena,
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Ancora una volta “la provincia”, nello specifico il Teatro Municipale di Piacenza che ha per direttore artistico Cristina Ferrari, dà i punti e batte le grandi istituzioni, quelle che ingurgitano la maggior parte delle sovvenzioni pubbliche e che dovrebbero rappresentare il faro della nostra cultura musicale, l’opera.
Allestire La Gioconda – tra l’altro quest’anno ricorre il centenario della morte del librettista Arrigo Boito, alias Tobia Gorrio per Ponchielli: qualcuno se n’è ricordato nei grandi teatri? Domanda retorica ovviamente – è una doppia sfida. In primis è perché trattasi di un’operona che richiede il massimo sforzo, sia musicale che scenico. Se per disgrazia ad un’ipotetica fine del mondo sopravvivesse un solo titolo, La Gioconda ne raccoglierebbe tutto il genere. Per farsi mancare non manca di nulla: ampia orchestra, coro con rinforzi e pure le voci bianche, banda in quinta, balletto e, buon’ultima, l’esigenza di un cast che, come alcuni maligni suggeriscono, una volta riunito… opti per il Don Carlo! E qui viene la seconda sfida, perché eseguire il Don Carlo, o il Simon Boccanegra – per altro ancora in circolazione la riuscitissima produzione piacentina che in questi giorni ha finito una lunga tournée in quel di Ravenna – capolavori assoluti e non solo della produzione verdiana, ben inteso, fa comunque “impegno musicale e teatrale”, mentre ad Amincare Ponchielli, che per giunta ebbe modo di vivere e di lavorare a Piacenza, in un certo ambiente si guarda quasi con commiserazione. Sì, bella musica, ma popolare, attaccaticcia, facile… come se fossero difetti, anzi peccati mortali!
La Gioconda, di cui nel corso della mia ormai lunga carriera impiccionesca ho avuto la fortuna di assistere a memorabile esecuzioni, per tutte un’edizione del 1988, esattamente trent’anni fa al Gran Teatro Del Liceo, in cui si sfidavano ben tre mezzosoprani: Grace Bumbry, Gioconda, Fiorenza Cossotto, Laura e Viorica Cortez, la Cieca, affiancate da Ermanno Mauro, Enzo Grimaldo, Matteo Manuguerra, Barnaba, Ivo Vinco, Alvise Badoero, con la regia del buon Beppe De Tomasi e al direzione di Uwe Mund, era un tempo titolo assai popolare. Ora ascoltarla in teatro è diventato un evento, specie in Italia. Eppure è un’opera che nella sua complessità, e difficoltà, è bellissima, melodrammaticamente perfetta nel susseguirsi di colpi di scena, nel libretto “scapigliato” e ricco di frasi che sono citazioni d’obbligo nel vocabolario di ogni melomane che si rispetti: “La cieca ci guarda la cieca ci vede”, “L’amo come il fulgor del creato”, “O monumento”, “O furibonda jena che frughi il cimiter” e via di questo passo… appunto come la verdina “l’ombra dei passi spietati”. Le melodie si rincorrono con fluidità maliosa, sfociando in pezzi d’assieme di grande effetto: per esempio quello che prende l’avvio con il cantabile della Cieca e, soprattutti, il finale terzo: “O vampiro fatal” che racchiude nella frase l’Horror cimiteriale della scena, e quindi dell’opera.
A Piacenza tutto è stato reso al meglio e già alla “prova generale” aperta al pubblico si è avuto un generoso anticipo del trionfo che accoglierà La Gioconda domani venerdì 16 marzo sera e poi la domenica 18. Successo destinato a crescere nel corso delle repliche nei teatri dell’Emilia con cui si è coprodotta, il “Luciano Pavarotti” di Modena ed il “Romolo Valli” di Reggio Emilia; appuntamenti che chi ama veramente l’opera farà bene a non mancare.
Se lo sforzo produttivo è stato ammirevole, come sempre in questo teatro dove tutti amano il loro lavoro e l’opera, con orgoglio e professionalità nella confezione del prodotto come solo nei teatri italiani è possibile realizzare, quello musicale è parso addirittura superlativo. Ovviamente, contando con un badget contenuto, il regista Federico Bertolani, che a Piacenza si è già fatto apprezzare per un riuscitissimo Turco in Italia, ha lavorato per sottrazione, cercando di individuare nell’acqua che l’ambiente lagunare e Venezia suggerisce e la cui presenza è evocata a piè sospinto, l’elemento che si impone ed invade prepotentemente la scena fino nel creare una sorta di isola, rappresentata dalla pedana su cui si svolge l’azione nell’ultimo quadro. Le citazioni ad un teatro fatto di giochi di ombre e controluce ci riporta a Strehler, così come il predominare del rosso nel terzo atto ricorda Pier Luigi Pizzi: ma la regia acquista una personale valenza e risulta, soprattutto, funzionale ad una narrazione chiara e precisa di una trama abbastanza complicata. La scena reca la firma di Andrea Belli. Il prezioso contributo cromatico dei bellissimi costumi si deve a Valeria Donata Bettella, mentre il perfetto disegno di luci, fondamentale per la riuscita e l’amalgama del tutto è creato da Fiammetta Baldiserri, una garanzia.
In grande forma l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna sotto la guida di Daniele Callegari, dichiarato cultore di Ponchielli e della Gioconda, opera che del resto dirige da tempo avendone firmato pure una edizione discografica, più recentemente al Metropolitan di New York. Scherzosamente gli ho fatto notare, a fine recita, che evidentemente quest’opera ce l’ha nel DNA! Gli riesce infatti trarre tutto il trascinante melodismo, curando meticolosamente il palcoscenico, sia nelle complesse scene d’insieme, sia nel sostenere sempre le ragioni del canto. Ne scaturisce una lettura entusiasmante, con grandi oasi di lirismo, si pensi alla rarefatta atmosfera sognante di “Cielo e mar”, ma pure con slancio e veemenza, tanto nell’atteso duetto tra le due donne “E un anatema!”, quindi nello stupendo concertato del terzo atto eseguito, come del resto tutta l’opera, nella sua assoluta integrità. Il coro di Piacenza, poi, è formato da elementi che nella loro omogeneità hanno pur sempre una forte ed individuabile personalità scenica: magnifica questa prova grazie alle cure paterne di del Maestro Corrado Casati con la partecipazione delle voci bianche ben istruite da Mario Pigazzini. Apprezzabile pure l’apporto della Banda in palcoscenico, formata da elementi del locale Conservatorio Nicoli.
Menzione per il corpo di ballo fornito dalla compagnia Artemis Danza con le coreografie di Monica Casadei, che con solo sei ballerini è riuscita sia nella popolare “Furlana” del primo atto che a rendere plausibile, tra le pedane e l’acqua fluente, il trascorrere delle ore, la cui danza è stata accolta con un applauso interminabile dal numeroso pubblico.
Il quale non ha lesinato applausi al cast, in vero degno dei più grandi teatri e non solo italiani. Tenendo conto che tolta la bravissima Anna Maria Chiuri, straordinaria Laura che stupisce per la compostezza del canto, emesso con magistrale tecnica, e per una partecipazione attoriale notevolissima, praticamente tutti erano al debutto si è rimasti doppiamente ammirati. Iniziando dall’attesissima presa di ruolo di Francesco Meli, ormai lanciatissimo sul mercato internazionale, che di Enzo Grimaldo fornisce un’immagine gagliarda e sognante nel contempo, regalandoci un “Cielo e mar” cesellato nel fraseggio e nelle dinamiche e poi sortendo alla grande da un personaggio che alle grandi difficoltà vocali non ha una forte individualità psicologica.
Ottimo il Barnaba, decisamente Villan e precursore nella sua perfida crudeltà dello Jago che verrà di lì a qualche tempo e dalla stessa penna, il baritono rumeno Sebastian Catana, che già era stato il “cattivissimo” Giovanni ne La ciociara di Tutino a Cagliari. Voce di bel timbro, emessa con grande facilità all’acuto e con un corpo autorevole nel centro e nella zona grave, risulta perfetto pure scenicamente. Autorevolezza che non manca certo all’Alvise Badoero di nobile statura impersonato con sicurezza da Giacomo Prestia il quale in scena si impone specie nel terzo atto, prima nell’aria e quindi nel duetto con Laura, uno dei momenti più drammatici, pur nella marcata ironia, di tutta l’opera. E’ piaciuta e tanto Agostina Smimmero, un vero contralto merce rara oggi come oggi, nella parte della Cieca: questa giovane cantante che è frutto della Scuola di Piacenza si è già avuto modo di apprezzare niente meno che a Las Palmas di Gran Canaria e va seguita con molta attenzione perché elemento da non perdere d’occhio. Ma anche i ruoli decisamente minori son stati risolti con insolita efficacia: raramente si sente uno Zuane affidato ad un basso di qualità qual è Graziano Dellavalle, e così i pur bravi Nicolò Donini, un cantore, Lorenzo Izzo, Isepo lo scrivano e Simone Tansini, Barnabotto e poi un pilota sul brigantino dalmata.
Ho lasciato buona ultima la protagonista, il soprano spagnolo (ma italiana per matrimonio) Saioa Hernandez, che già aveva fatto un’ottima impressione nella precedente Wally proprio a Piacenza. E’ il caso di dire “nemo profeta in patria” poiché sembra che in Spagna, nei grandi teatri, ancora non si siano accorti di lei. E sì che è stata una delle migliori – se non la migliore – allieve della Caballé. Egoisticamente a noi va bene così: che questa artista lavori qui, in Italia, da noi. Sarebbe ora, però, che i maggiori teatri italiani ed esteri si accorgessero di questa forte personalità artistica, della sua ammirevole preparazione musicale. Una voce idonea ad un personaggio come Gioconda, che tocca gli estremi del pentagramma passando dall’acuto emesso in pianissimo e sostenuto in “Enzo adorato”, a quelli presi di forza e lanciati come saette nel duetto con Laura e in corso d’opera fino a concludere il terribile quarto atto, che pesa a fine opera quasi tutto sulle sue spalle, non si trova facilmente. Stupisce e seduce per il colore, per la bellezza del suono che scorre fluente, ricco di armonici e completo in tutta la gamma, ma ancor di più, al debutto, per la profondità del fraseggio, per l’accento con cui rende questa “pura folle”, che corre incontro al suo destino e che, prima di uccidersi, deve pure trovare la forza di cantare con precisione la coloratura. Brava? Di più!
Non perdete l’occasione di sentire questa cantante e di assistere a questa Gioconda. Parola d’impiccione.
Andrea Merli