NOVARA: Nabucco, 23 febbraio 2017

NOVARA: Nabucco, 23 febbraio 2017

Opera in quattro atti
Musica di Giuseppe Verdi, su libretto di Temistocle Solera
Prima rappresentazione: Milano, Teatro alla Scala, 9 marzo 1842

Regia, scene, costumi e luci Pier Luigi Pizzi
Direzione d’orchestra Gianna Fratta

Personaggi e Interpreti:

  • Nabucco (Nabucodonosor), re dei Babilonesi ENKHBAT AMARTUVSHIN
  • Ismaele, nipote di Sedecia re di Gerusalemme TATSUYA TAKAHASHI
  • Zaccaria, gran pontefice degli Ebrei MARKO MIMICA
  • Abigaille, schiava, figlia adottiva di Nabucco REBEKA LOKAR
  • Fenena, figlia di Nabucco innamorata di Ismaele SOFIA JANELIDZE
  • Abdallo, vecchio ufficiale del re di Babilonia GJORGJI CUCKOVSKI
  • Anna, sorella di Zaccaria MADINA KARBELI
  • Gran sacerdote di Belo DANIELE CUSARI
    Soldati babilonesi, soldati ebrei, Leviti, vergini ebree, donne babilonesi, Magi, grandi del regno di Babilonia, popolo (coro)

Coreografie Francesco Marzola

Orchestra della Fondazione Teatro Coccia
con Orchestra del Conservatorio Guido Cantelli
Coro San Gregorio Magno

Allestimento della Rete Lirica delle Marche

Produzione Fondazione Teatro Coccia Onlus

 


La stagione al Teatro Coccia si è conclusa con due recite a dir poco trionfali del titolo verdiano. Impiccionescamente ho avuto la possibilità di assistere alla prova “antigenerale”, ovviamente ancora “imbastita”, ma cantata in voce dagli interpreti, ed in rapida successione alla “generale” nonché alla “prima” lo scorso 23 febbraio.
Chi segue il mio profilo su Faceboock sa già tutto: finalmente ho potuto ascoltare dal vivo il baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat, dal nome a tutta prima impronunciabile, ma che ormai ho ben stampato in mente che fino al momento conoscevo solo per le registrazioni pubblicate su YouTube. Anzi, fu proprio grazie alla sua sensazionale esecuzione dell’aria “Nemico della Patria”, eseguita in concorso a Cardiff e pubblicata on line, che poco più di due anni fa lo segnalai a Renato Bonajuto, responsabile del casting al Teatro Coccia, il quale senza perdere tempo si affrettò in quel di Napoli, dove il baritono era in scena al Teatro di San Carlo, e tornò in Piemonte con la scrittura.

La lunga attesa – per motivi su cui non è il caso mi dilunghi ho mancato il Rigoletto a Parma e prima a Genova – non è stata disillusa. Ammetto di essermi commosso al primo ascolto, in prova: al suo debutto, senza parlare l’italiano, la sua interpretazione della celebre aria “Dio di Giuda” mi è parsa subito sensazionale. La qualità della voce, ovviamente ed innanzitutto, è eccezionale. Il timbro caldo, scuro e omogeneo, arricchito da armonici altrettanto doviziosi, è ovviamente un dono di natura; la sapienza tecnica con cui piega una voce di tal fatta in piani e pianissimi, l’uso esemplare del legato fanno pensare ad una “scuola antica” che, probabilmente, si è trasmessa ed ha messo le radici in Mongolia, dove il tempo musicalmente si deve essere fermato ai tempi del Garcia e del Lamperti. Amici, tra cui il tenore triestino Paolo Zizich, che nella capitale di quel lontano Paese, Ulan Bator, hanno lavorato e cantato mi garantiscono che la tradizione musicale in quella nazione è incredibile: pensare che la popolazione di quella vasta area non supera i due milioni di abitanti! A ciò si aggiunga, nel caso di Enkhbat, una dizione pressoché perfetta, un accento ed un fraseggio già maturi e centrati. E dunque si è assistito ad un autentico prodigio: che lo attenda una folgorante carriera è, più che prevedibile, scontato. C’è da sperare che i nostri “grandi teatri” si accorgano di lui prima che ci venga definitivamente “rapito” oltralpe ed oltre oceano.
Naturalmente non era solo. Il cast allineato è parso praticamente perfetto, ideale e non solo per un teatro di provincia come orgogliosamente ed a tutti gli effetti è quello di Novara. Rebeka Lokar, soprano sloveno di Maribor, già stupenda Cio-cio-san a Novara la scorsa stagione, ha confermato le sue qualità eccezionali di soprano lirico con un’estensione ed una qualità vocali notevolissime. Del cast era l’unica a non debuttare il ruolo, avendo eseguito per la prima volta Abigaille a Taormina nella stagione organizzata e diretta da Enrico Stinchelli. La sua grande abilità nel modulare un fiume di voce in pianissimi, cantando sul fiato con estrema morbidezza, ci ha regalato uno struggente “Anch’io dischiuso un giorno”, ma ha poi sfoderato un Mi bemolle poderoso e tenuto a perdifiato nella stretta col baritono alla chiusa del duetto del terzo quadro dell’opera. Se c’è una cosa che ne fa apprezzare intelligenza e sensibilità, è quella di usare la voce senza forzature laddove, se si cercano affondi artificiosi, si può mettere a repentaglio l’intera organizzazione vocale: la Strepponi, infatti, mise fine ancor giovanissima alla carriera cantando ripetutamente questa parte. Ovviamente, non sarà il caso della Lokar, che dopo aver affrontato nella sua Malibor le Leonore verdiane del Trovatore e della Forza, è in procinto di ripetere Turandot a Las Palmas di Gran Canaria.

Altro elemento di spicco il basso croato Marko Mimica (si pronuncia “Mimiza”) che ha composto un nobile Zaccaria cantando con il suo bel colore di Bass-bariton, apprezzato precedentemente a Bilbao quale Don Alfonso nella Lucrezia Borgia donizettiana e con bel piglio nelle invettive, in particolare nell’affrontare a pari livello Nabucco: artista giovane ma già lanciatissimo nel mercato internazionale. Stupenda per colore e linea di canto pure la Fenena interpretata dal mezzosoprano georgiano Sofia Janelidze, dalla voce rotonda ed estesa, omogenea su tutta la gamma, dosata con cura in piani e dal bel legato, apprezzato soprattutto nell’aria finale: “Oh dischiuso è il firmamento”. Assai bene, sebbene l’emozione lo abbia condizionato a volte nell’intonazione, il tenore giapponese Tatsuya Takashashi, apprezzabile nei concertati e nel terzetto iniziale. Completavano il cast l’ottima Anna del soprano, pure della Georgia, Madina Karbeli, svettante nel Do acuto nel concertante a cappella “Immenso Jehova”, il poderoso basso locale Daniele Cusari, autorevole Gran Sacerdote di Belo ed il tenore macedone Gjorgji Cuckovski, Abdallo.

Sul podio una donna di grande vigore: Gianna Fratta. Aver assistito alle prove – ricordiamo l’ottima orchestra del Teatro Coccia in collaborazione con il Conservatorio “Guido Cantelli” ed il valoroso coro San Gregorio Magno istruito da Mauro Rolfi – ha permesso di valutare il preciso lavoro di bulino nel cercare ed ottenere le migliori sonorità e nel far quadrare il proverbiale cerchio. Certo avrebbe giovato qualche prova in più, ma per esperienza conosco la realtà di queste peculiari situazioni in cui si svolge una vera e propria lotta contro il tempo. Già così il risultato molto soddisfacente, sia per il piglio gagliardo nei momenti di maggior concitazione, sia per la grande cantabilità, con un bel sostegno al palcoscenico, concessa ai solisti ed alle masse, giustamente premiati da frequenti applausi a scena aperta.

Rimane lo spettacolo, un allestimento che proviene dalla “Rete lirica delle Marche” e che porta la prestigiosissima firma di Pier Luigi Pizzi. Il quale, presente a tutte le prove e pure animato da un’invidiabile vitalità e spirito, ci ricorda quanto sia da difendere la nostra consolidata tradizione teatrale italiana, procedendo ad una lettura chiara, senza stravolgimenti, anzi particolarmente suggestiva nella sua elegante pulizia cromatica e nel suo voluto minimalismo in scena. Una piattaforma inclinata bianca, incorniciata da quinte nere. Un fondale di colore cangiante a seconda dell’illuminazione. Gli ebrei in bianco e nero, gli assiri in nero e rosso con inserti d’oro ed argento. Per attrezzo un candelabro a sette braccia, la lampada Menorah del culto ebraico, un trono sostenuto da due leoni alati e tanto è bastato, sommandosi ad una recitazione misurata ed efficace, ricca di suggestione cui si è unita la opportuna coreografia di Francesco Marzola.

Andrea Merli

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