PIACENZA: la Wally – Alfredo Catalani – 19 febbraio 2017
ALFREDO CATALANI
LA WALLY
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Luigi Illica
dal romanzo La wally dell’avvoltoio di Wilhelmine von Hillern
direttore: Francesco Ivan CIAMPA
regia: Nicola BERLOFFA
Personaggi e Interpreti:
- Wally: Saioa Hernandez
- Stromminger: Giovanni Battista Parodi
- Afra: Carlotta Vichi
- Walter: Serena Gamberoni
- Giuseppe Hagenbach: Zoran Todorovich
- Vincenzo Gellner: Claudio Sgura
- Il Pedone di Schnals: Mattia Dentiscene: Fabio CHERSTICH
costumi: Valeria Donata BETTELLA
luci: Marco GIUSTIORCHESTRA REGIONALE DELL’EMILIA ROMAGNA
Maestro del coro: Corrado CASATICoproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena
Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Teatro del Giglio di Lucca
Quarantaquattro anni fa, correva il 1973: un ventiduenne “impiccioncino” – ovviamente già armato di registratore, conservo ancora le due cassette audio – dopo la recita de La Wally al Teatro Verdi di Trieste, inseguiva nei camerini la diva Raina Kabaivanska per farsi autografare la copertina della Madama Butterfly, pubblicata ai tempi in edicola a fascicoli per i Fratelli Fabbri Editori. Mi ricordo ancora e benissimo che non occupava il camerino della “prima donna”, ma un altro più defilato; quando vide quel fascicolo lanciò un’esclamazione che lì per lì spaventò il povero studentello al terzo anno di medicina: “Questa registrazione la detesto! Dovevamo litigare per raggiungere l’unico microfono!”. Era già Lei, polemica e senza peli sulla lingua. Quindi con uno dei suo sorrisi ammaliatori, impietosita da quell’imberbe ed imbranato ragazzino, firmò e mi regalò pure una foto con dedica. Insomma, con Wally nacque un grande ed imperituro amore destinato a rafforzarsi ad ogni incontro, oggi come allora.
Aneddoti a parte a proposito di quella Wally – sul podio Gavazzeni e in scena con la Raina, Amedeo Zambon, Silvano Carroli, Laura Zanini e Fiorella Pediconi: me li ricordo come fosse ieri – tornare ora a riascoltarla a Piacenza è stata per me una grande festa, una bella rimpatriata. Lode innanzi tutto al Teatro più rosa d’Italia, forse del mondo, diretto da Angela Longeri e con direttore (o direttrice che dir si voglia) artistico Cristina Ferrari, che hanno avuto non già il coraggio, bensì l’iniziativa di riproporre il titolo ultimo e capolavoro di Alfredo Catalani.
Un’opera snobbata dai nostri maggiori teatri in cui prevale il provincialismo esterofilo che quando ricompare, e sempre nei teatri della nostra dorata e musicalmente sana provincia – dopo Piacenza si vedrà a Modena, Reggio nell’Emilia ed al Teatro del Giglio di Lucca, dovuto omaggio visto che Catalani era lucchese – ottiene un franco successo e richiama grande pubblico. Vedere dal palco numero 1 di prepiano, dove barcaccianamente ero alloggiato, il Municipale piacentino stracolmo è stato uno spettacolo nello spettacolo.
Capolavoro? Sì, assoluto. Chi pensasse che tutto si riduce alla celeberrima aria che conclude l’atto primo, “Ebben ne andrò lontana”, cavallo di battaglia di ogni soprano che si rispetti, dalla Callas alla Olivero e senza dimenticare certo la Tebaldi che incise con Del Monaco l’unica registrazione in studio, potrebbe rimanere sorpreso per la bellezza e ricchezza dello spartito, dove ce n’è per tutti. Per il tenore, a cui si richiede un timbro eroico, wagneriano, per il baritono, parte drammatica ma ricca di momenti lirici, per il soprano coloratura en travesti, il piccolo Walter, cui spetta uno jodler assai suggestivo motivo premonitore dell’opera, per il mezzosoprano impegnata tra l’altro in un concertato ove riecheggia lo stile francese della Carmen, per i due bassi in ruoli di fianco, ma tutt’altro che marginali. Per il direttore d’orchestra, infine, alle prese con una partitura non semplice, articolata e piena di spunti e richiami, ma anche di incredibili anticipazioni, dal Wagner dell’Olandese al Rota di Napoli milionaria (ebbene sì!). per coro ed orchestra impegnatissimi.
Ed iniziamo proprio da questa, l’ottima Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna, chiamata ad un’operazione che vede tutti esposti nei singoli interventi, dall’arpa alla percussione, e che risponde con un suono compatto, omogeneo e senza sbavature. Merito della direzione del giovane, ma ormai lanciatissimo, Francesco Ivan Ciampa, una delle bacchette più interessanti da seguire tra quelle rigogliose e rampanti della nuova generazione italiana. Lui particolarmente fedele ad una tradizione che alla chiarezza del gesto unisce l’attenzione al palcoscenico, con cui mantiene un equilibrio perfetto nonostante le bordate sonore che arrivano come folate di vento dalla buca. Controllo delle dinamiche, tempi teatrali e rispetto delle voci. Iniziando da quelle del coro, altro punto di forza a Piacenza, istruito come sempre dal pur bravo Maestro Corrado Casati.
Il cast è parso non meno che ottimo, con punte di eccezionalità nella spagnola di Madrid Saioa Hernandez, soprano che ebbi la fortuna di conoscere ed apprezzare in un Concerto Verdiano a Tenerife nel 2010, in occasione delle celebrazioni dei 150 anni della nascita nazionale italiana. E che nel frattempo di strada ne ha fatto tanta, senza clamore, ma con perseveranza: qui ha dimostrato non solo di possedere la vocalità spinta necessaria per venire a capo di un ruolo-monstre che conosce ed attraversa nell’arco dell’opera tutta la gamma umana dei sentimenti, ma soprattutto doti di interprete che hanno sorpreso e le hanno garantito un personale e meritatissimo trionfo.
La parte di Giuseppe Hagenbach è particolarmente ingrata e poiché oltre ed essere tenuta su una tessitura impervia, concede pochi momenti di aperta cantabilità: specificamente durante il ballo in cui carpisce a Wally il fatidico bacio e poi, finalmente, nello struggente quarto atto. Zoran Todorovic è parso a suo agio sia scenicamente che vocalmente, rinnovando i fasti di Del Monaco, ma anche di Amedeo Zambon che, a suo tempo, strappava l’applauso a scena aperta. Vocalità maschia, robusta e anche nel suo caso, appassionata.
Il ruolo di Vincenzo Gellner, affidato al baritono, richiede incisività e determinazione mista all’affetto, alla sofferenza, al sentimento di rivalsa. Claudio Sgura è parso ideale per il ruolo in cui si vide trionfare il giovane Silvano Carroli: vocalità sicura, grande musicalità, armonici doviziosi, ma soprattutto un’interpretazione a tratti commovente per la grande umanità. Più defilato, anche se ruolo chiave nello svolgersi del dramma, Stromminger padre di Wally che caccia di casa la figlia ribelle al matrimonio con il prescelto Gellner. Giovanni Battista Parodi ne restituisce l’autorevolezza con il giusto aplomb e con voce di tutto rispetto. Bene anche il basso piacentino Mattia Denti nella parte del Pedone di Schnals, l’ubriacone che segue e commenta la vicenda. Nel ruolo cameo di Afra, la bella ostessa tirolese offesa dalla Wally ricca e potente dopo la morte del padre, si è apprezzata la squisita Carlotta Vichi, giovane e promettente mezzosoprano. Menzione speciale, infine, per il delizioso Walter interpretato con spigliatezza e brio da Serena Gamberoni, perfetta sia nel citato ed acutissimo jodler, quanto negli altri interventi in corso d’opera.
Infine l’allestimento per la regia di Nicola Berloffa, il quale grazie alla scena di Fabio Cherstich, ai costumi di Valeria Donata Bettella ed alla illuminazione di Marco Giusti, ci trasporta circa 50 anni in avanti rispetto all’epoca in cui si svolgono i fatti, in origine dovrebbe essere contemporanea alla “prima” del 1893. Il ché di per sé non costituirebbe un grosso problema, non fosse che l’ingresso di Wally nel secondo atto, che arriva all’osteria di Afra vestita da ricca borghese con tanto di stola di visone e triplo giro di perle (il “vezzo” ammirato da Afra) ricorda Eva Braun nell’hitleriano covo delle aquile, piuttosto che la selvaggia ragazza, libera come il vento ed il sole. Si perde così ed in gran parte l’elemento naturalistico ed anticonformista che oggi rende Wally particolarmente attuale, amante della natura, delle vette innevate da cui poi viene punita e tradita nella valanga con cui si conclude l’annunciata tragedia. Valanga, per altro, risolta intelligentemente “fuori scena”, mentre il palcoscenico viene invaso da una fitta nuvolaglia che più wagneriana di così non si può.
Detto ciò, lo spettacolo comunque funziona benissimo ed è stato molto apprezzato da tutti. E ciò, alla fin fine, è quel che conta.
Andrea Merli