Parma & Busseto – Festival Verdi 2016:  Concerto Kunde Yeo Benzi 28.10,  I Masnadieri 14.10,  Il Trovatore 27.10

Parma & Busseto – Festival Verdi 2016: Concerto Kunde Yeo Benzi 28.10, I Masnadieri 14.10, Il Trovatore 27.10

Teatro Regio di Parma

venerdì 28 Ottobre 2016

Tenore

GREGORY KUNDE

Soprano

VITTORIA YEO

Pianoforte

BEATRICE BENZI

 

 

Rush finale per il Festival Verdi 2016 con la doppietta costituita da I masnadieri, messi in scena nel minuscolo Teatro Verdi di Busseto ed Il trovatore allestito al Teatro Regio di Parma. A coronare il tutto, l’attesissimo ritorno del beniamino Gregory Kunde, questa volta affiancato dall’emergente soprano koreano Vittoria Yeo, in un concerto all’insegna di Verdi con la fedele Beatrice Benzi al pianoforte.

E si inizi dunque con questo “piatto forte” servito in una sala non proprio stracolma – come sarebbe da sperare – ma costellata di fan e melomani giunti un po’ da tutte le parti, non solo d’Italia e di personalità illustri tra le quali va citata la splendente e sempre elegantissima Raina Kabaivanska, seduta nel bel mezzo della platea a cui abbiamo quasi tutti reso doveroso omaggio come spetta ad un’autentica Diva, che ha seguito con materna attenzione le prodezze della giovane allieva, la Yeo, e finalmente ha dato il via alla Standing Ovation che ha concluso l’incredibile performance del tenore dell’Illinois. Il quale è riuscito a “tenere la promessa” fatta in primis al loggione di Parma, incastrando il concerto tra una recita e l’altra di Norma al Teatro Real di Madrid, come dire… non proprio dietro l’angolo!

Che aggiungere a quanto si è già detto e ripetuto del Grande Greg? Certo il programma è stato uno di quelli da fare tremare i polsi, oltre che le ugule di chi sin dall’inizio si è prodigato in grida di “bravo”, incominciando dal sottoscritto. I brani? Li potete ascoltare nei link postati dal Tubo: scena e romanza di Riccardo dal Ballo, “Forse la soglia attinse… Ma se m’è forza perderti e stretta finale “Sì, rivederti Amelia”, recitativo ed aria di Radames, aria e cabaletta “Ah si ben mio…” “Di quella pira” e tutto ciò in una prima parte che già di per sè presentava il gravame di due opere. Quindi nel secndo tempo: recitativo ed aria di Alvaro della Forza, duetto di Otello e Desdemona “Già nella notte densa” e “Dio! Mi potevi scagliar tutti i mali”. Infine, con la Yeo ed a furor di popolo un solo Bis, e che Bis! Il duetto del terzo atto tra Aida e Radames: “Pur ti riveggo”. Stupefacente sempre e ancor di più la saldezza del mezzo, la lucentezza dell’acuto; colpisce l’incisività del fraseggio e dell’accento, infiammato e scandito, con un apice nell’arioso di Otello, ruolo in cui, oggi come oggi, Kunde non ha rivali. E’ stato un delirio, di musica, di applausi e di gioia nell’attenta partecipazione di un pubblico estasiato.

Commosso anche dalla bravura di Vittoria Yeo che possiede, oltre al dono di un timbro prezioso e di una tecnica ferratissima che le permette emissioni flautate e messe in voce pregevolissime – personalmente non sono riuscito a trattenere un “brava” sulla cadenza a metà duetto con Radames: ruolo per altro, quello di Aida, che la Yeo non ha ancora interpretato in scena – e di una qualità che latita spesso tra colleghe, italiane e non, assai più scafate e che in un’orientale è ancor più sbalorditiva: l’espressività. Tanto nella voce e nel saper colorire con sapienza ogni parola cantata, quanto proprio nella mimica del volto, di una dolcezza e nobiltà che conquistano. Ha aperto il suo intervento con la grande scena della Luisa Miller “Tu puniscimi, o Signore” compresa la cabaletta “A brani, a brani, o perfido”, quindi ha proseguito con una sensibilissima esecuzione della temibile aria di Aida che apre il terzo atto, prendendo il Do acuto in pianissimo e rinforzandolo con una estrema naturalezza e facilità e concludendo la prima parte con un’applauditissima esecuzione dell’aria di Leonora nell’ultimo quadro de Il trovatore, preceduta dal recitativo “Timor di me…”, “D’amor sull’ali rosee”.

Nella seconda parte la scena e cavatina di Elvira dall’Ernani e, oltre ai duetti con Kunde, una struggente esecuzione dell’Ave Maria dell’Otello. Una pagina, come ebbe a dire a suo tempo la Olivero, che “si esegue solo se si è padroni assoluti della parola cantata”, che va centellinata in questo caso come un vino prelibato.

Al trionfo annunciato, ma mai scontato, si è unito il brillante accompagnamento di Beatrice Benzi, al pianoforte. Con una cura particolare nel sostenere le ragioni del canto e seguendo, più che le note degli spartiti che conosce a menadito grazie al lavoro in Scala, prediletta da Zubin Mehta e da Barenboim tra gli altri, con “materno abbandono” le volute del canto che hanno trovato in lei un vero e proprio angelo custode.





I MASNADIERI

Melodramma tragico in quattro atti su libretto di Andrea Maffei tratto da Die Rauberdi Friedrich Schiller

Musica GIUSEPPE VERDI

Interpreti ARTISTI DEL CONCORSO INTERNAZIONALE VOCI VERDIANE “CITIÀ DI BUSSETO” In collaborazione con SCUOLA DELL’OPERA DEL TEATRO COMUNALE DI BOLOGNA

Maestro concertatore e direttore: SIMON KRECIC

Regia: LEO MUSCATO

  • Massimiliano: GEORGE ANDGULADZE (7, 14, 23, 29), VICTOR SPORYSHEV (10, 16, 21, 28)
  • Carlo:  GIOVANNI MARIA PALMIA (7, 14, 23, 29), ROSOLINO CLAUDIO CARDILE (10, 16, 21, 28)
  • Francesco: LEON KIM (7, 14, 23, 29), SAHAP CUNEYT UNSAL )10, 16, 21, 28)
  • Amalia: MARTA TORBIDONI (7, 23, 29), ADRIANA IOZZIA (10, 14, 21), FEDERICA VITALI (16, 28)
  • Arminio: MANUEL RODRIGUEZ REMIRO
  • Moser: PIETRO TOSCANO (7, 14, 23, 29), WELLINGTON DE SANTANA MOURA (10, 16, 21, 28)
  • Rolla: JANGMIN KONG

 

Scene: FEDERICA PAROLINI

Costumi: SILVIA AYMONINO

Luci: ALESSANDRO VERAZZI

Maestro del coro: MARTINO FAGGIANI

ORCHESTRA DELL’OPERA ITALIANA
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Allestimento del Teatro Regio di Parma per il Teatro Giuseppe Verdi dì Busseto
In coproduzione con Teatro Comunale dì Bologna
In collaborazione con Comune dì Busseto, Teatro Giuseppe Verdi,
Concorso Internazionale Voci Verdiane “Città di Busseto

Risultati meno esaltanti, in gran parte preannunciati pure essi, quelli de I masnadieri a Busseto e, peggio, per Il trovatore a Parma. I primi affidati ad una compagnia in cui si sono alternati i vincitori del Concorso Internazionale Voci Verdiane “Città di Busseto” ad elementi già in carriera e scelti dal Teatro Comunale di Bologna, attingendo anche alla locale Scuola dell’Opera.

Opera, questa di “galera” più di tante altre, di difficoltà enormi almeno per quanto riguarda i tre principali interpreti: il protagonista tenore, nel ruolo di Carlo il “masnadiero”, la di lui amata Amalia, soprano ed il cattivissimo fratello Francesco, affidato alla corda di baritono come esige la convenzione romantica.

Il libretto, si sa, fu tratto dal Conte Andrea Maffei dal dramma di Schiller “Die Rauber”; in quanto a fantasia dei versi e a soluzioni drammaturgiche, fa a gara con quello di Somma per il posteriore Un ballo in maschera, riuscendo quindi assolutamente “melodrammatico” e pure scapigliato in largo anticipo sui tempi. Pone grosse difficoltà al lavoro del regista e dunque sia lode, senza se e senza ma, a Leo Muscato che nello spazio formato salotto del Teatrino Verdi è riuscito a dipanare credibilmente e con efficacia la strampalatissima trama, risparmiando al pubblico la difficoltà aggiunta di sovraletture che avrebbero contribuito solo a rendere il tutto ulteriormente ingarbugliato e scuro. Grazie alla scena costituita da una disassata pedana, piena di botole ed adattabile alle varie situazioni, di Federica Parolini meritevole pure di aver prodotto appropriate quinte “corporee” miste a suggestive proiezioni; azzeccati pure i bei costumi di Sylvia Aymonino e ben dosate le luci ideate da Alessandro Verazzi.

Alla direzione dell’Orchestra dell’Opera Italiana, Simon Krecic ha impresso un ritmo incalzante, che  poteva anche essere meno stringato, ma ha tenuto desta l’attenzione del pubblico, immerso totalmente nell’onda sonora. Ottimo come sempre il coro, mutuato da Parma, diretto dal solerte Martino Faggiani e dignitoso il cast, che va lodato innanzitutto per l’impegno, il coraggio e la buona volontà. Nel turno del 14 ottobre, Carlo era il tenore  Giovanni Maria Palmia, dal timbro di bel colore “all’italiana” e di voce fin troppo generosa, da attendere con curiosità in altri ruoli. Adriana Iozzia, Amalia, conferma qualità d’interprete assai notevoli e, tenendo conto delle difficoltà insite nel ruolo specie nella grande scena al cimitero, si è portata onorevolmente la sera a casa, come si dice in gergo. Bel materiale pure quello del baritono koreano Leon Kim, che ha dato vita con impeto al trucibaldo Francesco, pentitosi poi in extremis di tutta la sua cattiveria, con pienezza di mezzi sebbene l’interprete sia in gran parte da rifinire, incominciando dal periclitante italiano. Si farà, c’è da scommetterci: tra l’altro quella sera era l’unico tra quelli usciti dal concorso, assieme al basso George Andguladze, Massimiliano di spicco. Bene sia lo squillante Arminio del tenore Manuel Rodriguez Remiro che il Moser di Pietro Toscano, tonante pastore protestante. Una recita a teatro esaurito – e ci vuol poco, si dirà – a prezzi da Regio, cioè piuttosto elevati. Notevole la presenza di stranieri che quest’anno hanno in grande misura popolato le serate festivaliere.

 

IL TROVATORE

Dramma lirico in quattro parti su libretto di Salvadore Cammarano

tratto dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez

Musica
GIUSEPPE VERDI

Maestro concertatore e direttore: Massimo Zanetti

Regia: Elisabetta Courir

Personaggi e Interpreti:

  • Il Conte di Luna: George Petean
  • Leonora: Dinara Alieva
  • Azucena: Enkeleida Shkoza 
  • Manrico: Murat Karahan
  • Ferrando: Carlo Cigni
  • Ines: Carlotta Vichi
  • Ruiz: Cristiano Olivieri
  • Un vecchio zingaro: Enrico Gaudino
  • Un messo: Enrico Paolillo 

 

Scene: Marco Rossi 

Costumi: Marta del Fabbro

Luci: Giuseppe Ruggiero

Movimenti coreografici: Michele Merola

Maestro del coro: Martino Faggiani
FILARMONICA ARTURO TOSCANINI

CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA

Amaro e piuttosto indigesto Il trovatore in nuova produzione – era proprio necessario? -firmata da Elisabetta Courir, scene – se tali si possono considerare delle pedane mobili – di Marco Rossi, costumi – i soliti “capottoni” atemporali: non se ne può più! Almeno riciclateli – di Marta Del Fabbro, luci di Giuseppe Ruggero e movimenti coreografici di Michele Merola. Contestatissimo alla “prima”, disertato poi dai loggionisti parmigiani, la sera del 27 ottobre ha avuto un successo senza crepe, merito di nuovo dell’etereogenicità del pubblico in gran parte “foresto” a cui è sembrato piacesse tutto.

Anche una versione musicale che ha trovato in Massimo Zanetti un accompagnamento atassicamente affrettato e poi inspiegabilmente rallentato, senza un motivo plausibile in entrambi i casi, condito da sonorità spesso debordanti. Il ché ha sorpreso anche chi dal Maestro si attendeva, se non il volo dell’aquila, una confortante routine e l’indispensabile sostegno al canto. Viceversa il cast, seppure desse l’impressione di essere raffazzonato nella scelta degli interpreti, ha offerto luci ed ombre. Iniziando dal temperamentoso tenore turco Murat Karahan, detentore di una voce incredibile, per armonici, ampiezza e smalto prezioso, brillante in acuto ed estesa anche in zona centrale e grave con un colore quasi baritonale. Peccato che alla prodezza di un Do fulminante e tenuto per un’infinità di tempo sull’Allarmi! a conclusione della “pira” – e puntualmente dal loggione, alla “prima”, una voce isolata gli ha ricordato che Manrico non è solo quella cabaletta – non unisca l’indispensabile controllo tecnico per contenere un così esuberante strumento. La voce a volte si spoggia, spesso si apre in suoni sguaiati a discapito dell’intonazione; il valore delle note a tratti mutato: abbiamo sentito, per molti versi, un “nuovo” Trovatore. Alla mancanza di una perfetta quadratura musicale, si somma l’italiano approssimativo, dando la sensazione di non comprendere egli stesso cosa stia cantando. Per assurdo quella sera del 27 ha portato a termine l’aria più difficile per il tenore “A! si ben mio”, che ha concluso con misura e tenuta del suono. Misteri di una natura cui urge l’essere raddrizzata e che gli garantirebbe un futuro radioso: pochi possono presumere di una voce simile!

Ha in parte deluso pure il baritono rumeno George Petean, che pure si è avuto occasione di ascoltare quale ottimo vocalista ed interprete. Probabilmente condizionato dal contorno, ha iniziato maluccio, forzando e gridando laddove non ce n’era bisogno, compromettendo la linea di canto e dando al ruolo un tono Villan che gli è estraneo. Poi ha raddrizzato il tiro e ha compitato assai bene la scena dei faggi ed, infine, il duetto del quarto quadro con Leonora. Questa era il soprano bulgaro Dinara Alieva che, amen di dimenarsi continaumente in scena, nemmeno fosse stata in preda al ballo di San Vito, pur non essendo censurabile al cento per cento, è parsa demotivata, comunque avara di colori e sostanzialmente impersonale. Azucena la brava Enkeleida Shkoza. Completavano il cast il Ferrando di Carlo Cigni, la Ines di Carlotta Vichi (onestamente uno spreco, visto il livello generale) ed il Ruiz di Cristinao Olivieri. Enrico Gaudino ed Enrico Paolillo coprivano rispettivamente i ruoli del vecchio zingaro e dell’usato messo.

Nel grigiore generale della dimessa realizzazione non ha sorpreso la generosa accoglienza del pubblico, in gran parte luccicante per le dame pronte ai selfies di rigore quando si è in gita turistica.


Andrea Merli

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