Cagliari, 1° aprile 2016  LA CAMPANA SOMMERSA – Ottorino Respighi

Cagliari, 1° aprile 2016 LA CAMPANA SOMMERSA – Ottorino Respighi

LA CAMPANA SOMMERSA
opera in quattro atti
libretto Claudio Guastalla, dal poema drammatico Die versunkene Glocke di Gerhart Hauptmann
musica Ottorino Respighi

 

maestro concertatore e direttore Donato Renzetti

regia Pier Francesco Maestrini

Personaggi e Interpreti:

  • Rautendelein Valentina Farcas, Daniela Cappiello (2, 5)
  • Magda Maria Luigia Borsi, Francesca Tiburzi (2, 5)
  • La Strega Agostina Smimmero, Lara Rotili (2, 5)
  • La prima Elfe Martina Bortolotti
  • La seconda Elfe Francesca Paola Geretto
  • La terza Elfe Olesya Berman Chuprinova
  • Enrico Angelo Villari, Francesco Medda (2, 5)
  • L’Ondino Thomas Gazheli, Gocha Abuladze (2, 5)
  • Il Fauno Filippo Adami, Tatsuya Takahashi (2, 5)
  • Il Curato Dario Russo, Alessandro Abis (2, 5)
  • Il Maestro Nicola Ebau
  • Il Barbiere Mauro Secci
  • Il primo Bimbo Martino Corda, Nicola Secchi (2, 5)
  • Il secondo Bimbo Letizia Puddu, Eleonora Dunn (2, 5)
  • Il Nano Sandro Meloni


Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
Coro di voci bianche del Conservatorio Statale di Musica “Giovanni Pierluigi da Palestrina” di Cagliari

maestro del coro Gaetano Mastroiaco
maestro del coro di voci bianche Enrico Di Maira

scene e proiezioni Juan Guillermo Nova
costumi Marco Nateri
luci Pascal Mérat

nuovo allestimento del Teatro Lirico di Cagliari

 

 

Per una strana congiunzione astrale, nell’arco di una settimana vanno in scena tre titoli desueti di autori italiani dello scorso secolo e quindi, ormai, non più contemporanei.

la campana sommersa atto-III-foto-Priamo-Tolu-Rispetto a La campana sommersa e a La donna serpente, che la prossima settimana ritornerà al Regio di Torino nell’allestimento visto a Martina Franca durante il Festival della Valle d’Itria edizione 2014, la cui emersione ed il ritorno alla superficie ha scadenza più o meno quarantennale, La cena delle beffe non gode certo di fortuna maggiore, poiché dalla ripresa a Bologna nel 1989 son passati pur sempre 27 anni… anche se impiccionescamente sembra ieri!

All’opera di Ottorino Respighi, prodotta l’ultima volta al Verdi di Trieste nel 1980, mancai per un pelo poiché, pur avendo vissuto gli anni dell’università nella capitale giuliana, esercitavo già la professione di dentista a Milano e fui impedito al viaggio per motivi… “medicali”. Ora, prossimo alla pensione, ho colto al volo – letteralmente – l’invito fattomi dal solerte e prezioso ufficio stampa del Teatro Lirico di Cagliari, di cui voglio qui menzionare l’inappuntabile Pierluigi Corona e la travolgente e simpatica Elsa Pia, e non mi sono fatto sfuggire un’occasione più unica che rara visto pure l’avanzare dell’età.

Die versunkene Glocke, dramma di Gerhart Hauptmann: si tratta di una fiaba nordica popolata da fate, fauni, streghe, ondine ed ondini e per non farci mancare nulla pure da un nano di stampo nibelungico. Al suo nascere questo dramma fece già discutere la critica tedesca schierata, a quanto si legge, in una pressoché unanime condanna, fu adattata ad operistici quattro atti dal librettista “di fiducia” di Respighi, Claudio Guastalla. Sul suo preteso “simbolismo” che alcuni vi leggono, stenderei il confortante pietoso velo. C’è poco da cavar dal buco in un testo che usa, per rendere il personaggio di Ondino il cui reame sta nel fondo di un pozzo, onomatopeici “Brekekekex” e “Quorax! Quorax!”. La musica li prende sul serio, ma la  sensibilità odierna assimila ai fumetti di Topolino, a Paolino Paperino ed ai suoi tre ineffabili nipotastri, Qui, Quo e Qua.

la campana sommersa atto-III-foto-Priamo-Tolu-La storia narra del “campanaro” Enrico, a cui un Fauno dispettoso fa scivolare la campana destinata in fondo al lago. Smarritosi nella foresta, Enrico viene soccorso da Rautendelein, fatina o meglio principessa, che passa le giornate pettinando la fulva chioma alla fontana e vive in un modesto abituro con la Strega.  Rautendelein se ne innamora a prima vista e, sfuggendo ad Ondino, segue Enrico nel mondo “oscuro degli umani” dove lo riconducono in barella il Curato, il Barbiere ed il Maestro giunti in suo aiuto. Penetrando furtiva nella casa dove egli ha sposa e figli, lo ritempra e gli dona nuova forza e vigore e lo convince a seguirlo nel suo mondo fatato. Nel terzo atto li ritroviamo in una ex vetreria posta tra le vette e trasformata in fonderia. Enrico ama riamato Rautendelein, e preso da un empito creativo sta forgiando una nuova campana aiutato dai nani, ma non più per il culto cristiano, bensì per quello pagano del Sole. Sopraggiunge il Curato, novello esorcista e tenta inutilmente di sottrarlo alle arti magiche della fata. Enrico provocatoriamente gli ribatte che sarebbe più probabile sentire echeggiare la campana in fondo al lago piuttosto che egli faccia ritorno dalla moglie e dai figli. Ed ecco che, nel bel mezzo di un duetto d’amore con Rautendelein novella Vilja ninfa dei boschi, arriva l’eco della campana, accompagnato dalla voce dei figli che giungono poco dopo recando in mano una coppa colma delle lacrime materne. Dov’è la mamma? In fondo al lago tra i nenuferi. Al comune mortale, pentito e contrito, non rimane da fare altro che rinnegare la maliarda e fuggire via, tornandosene a valle. Nel quarto atto la ripudiata e sconsolata Rautendelein ha accettato di diventar sposa dell’Ondino discendendo nel pozzo, da cui riemerge richiamata dalla Strega che si impietosisce al richiamo di Enrico, tornato sui suoi passi ma invecchiato assai e pronto a morire tra le braccia di colei che lo ha tanto amato, mentre li illumina l’ultimo raggio di sole.

la campana sommersa 2Sto plot “naturalista” trova risposta adeguata nel sinfonismo di Respighi. Il quale, mescolando echi wagneriani e straussiani, con una buona dose di Puccini, che in Italia non è mai di troppo, memore della scuola russa che pure frequentò, dell’imperante impressionismo francese, ribolle una sorta di minestrone in cui ritorna ed echeggia di tutto, oltre al suono della campana evocata strumentalmente in più punti. Vocalmente non si scosta praticamente mai dal declamato, più volte sopraffatto da un’orchestrazione molto esuberante. Un canto sempre teso e spinto oltre ogni umana idea per il ruolo del tenore, che deve affrontare una tessitura impossibile, più onerosa di quella di un qualsiasi Sigfrido. Non che il soprano Rautendelein sia trattato meglio, poiché la voce di lirico leggero si trova a dover sorvolare ondate orchestrali prossime alla cavalcata delle walkirie, mentre le si esige sia la coloratura che di salire con frequenza al sovracuto.

In cotanta difficoltà va in primis lodata la prova dell’orchestra, davvero in grandissimo spolvero quella di Cagliari, ubbidiente alla bacchetta di Donato Renzetti. Il quale si getta a capofitto nella scabrosa partitura dimostrando di crederci e servendo al meglio le voci, sostenendole nel migliore dei modi. Di più e meglio, sinceramente, dubito si possa fare e tenendo conto pure della durata dell’opera, va lodata pure l’improba fatica fisica. Il cast ha avuto grandi meriti: iniziando dal tenore, Angelo Villari nel ruolo di Enrico,  dove dimostra di possedere una resistenza, un piglio ed uno squillo invidiabili, oltre a dare al personaggio l’empito e la robustezza richiesta pure scenicamente. Gli si augura, e ci si augura, poterlo ascoltare in ruoli altrettanto importanti, magari in un repertorio meno defilato. Mettersi in gola questa parte, nell’ipotesi nemmeno poi tanto remota di non cantarla mai più, è di per sé un atto eroico. Lo stesso dicasi del soprano Valentina Fargas, apprezzatissima sia vocalmente con la sua voce cristallina ideale per il ruolo della fatina, sia per la deliziosa presenza scenica, in una prova che l’ha messa sicuramente … alla prova e da cui ne è uscita vittoriosa, a testa alta e pure incoronata. Non meno esposto il ruolo del Fauno, il pur bravissimo tenore Filippo Adami e sostanzioso, nonostante i versacci “Brekekekex” e “Quorax! Quorax!” il baritono di Karlsruhe Thomas Gazheli, il cui italiano stentato ha avuto, una tantum, una sua singolare valenza. Molto centrato, sia vocalmente che scenicamente, il Curato del basso Dario Russo, imponente per voce e statura, buona la Magda tradita, intonata con mestizia da Maria Luigia Borsi, centrata pure la Strega, tutto sommato assai buona pure lei, affidata alla voce di mezzosoprano di Agostina Smimmero. Ma tutti erano in ruolo nell’affastellato cartello: le tre Elfi, novelle figlie del Reno, una delle quali viene rapita dal libidinoso Fauno che ricorda fin troppo da vicino l’Alberich di nibelungica memoria: nell’ordine Martina Bortolotti, Francesca Paola Geretto, Olesya Berman Chuprinova. Non dimentichiamo, nelle pur loro brevi parti, il Barbiere di Mauro Secci ed il Maestro di Nicola Ebau e, già che ci siamo, i figlioletti abbandonati, due bimbi recitanti: Martino Corda e Letizia Puddu ed infine il Nano della fucina, recitante pure lui, Sandro Meloni. Il coro del Teatro Lirico non ha granché da cantare, ma quel poco lo fa assai disciplinatamente grazie alle cure di Gaetano Mastroiacono. Così pure le voci bianche, inneggianti la primavera e gli uccellini che fan “D’ogni fronda uit uit uit, d’ogni gronda cirelì!” istruite da Enrico Di Maria.

la campana sommersa 1Punto di forza di questa Campana è stato senz’ombra di dubbio l’allestimento. Pier Francesco Maestrini, coadiuvato dai bravissimi Juan Guillermo Nova (scene e proiezioni), Marco Nateri (costumi) e Pascal Mérat (luci) spinge il “simbolismo” di Hauptmann nell’unica direzione possibile, quella della lettura fedele, fiabesca eppure iper-realista – non è un controsenso – quasi fosse un “romanzo gotico” o, piuttosto, la versione operistica – Dio ce ne scampi – di Harry Potter o del Signore degli anelli. E dunque il bosco è davvero un bosco nel suo continuo trascolorare, l’ambiente borghese del villaggio ha un tocco tetro che unisce il focolare domestico ai finestroni di una cattedrale gotica, la fucina in mezzo ai monti ha sullo sfondo le rovine della stessa tra cui scorre l’acqua di una cascata. I costumi, centratissimi, ci rendono il Fauno ed i suoi due inseparabili e “bodybilderati” aiutanti con zoccoli e corna, mentre l’Ondino è una specie di ramarrone verde dall’aspetto scivoloso che suscita ribrezzo. I borghesi vestono abiti primi ottocento, le Elfe, e quindi Rautendelein nel finale, hanno il pallore di figure eteree ed evanescenti.

Grande suggestione e spettacolarità garantite ed apprezzatissime da un pubblico particolarmente folto ed attento alla “prima” che ha gradito ed ha dimostrato un alto livello di apprezzamento attardandosi in lunghi e scroscianti applausi.

Andrea Merli

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