IL TURCO IN ITALIA – 31 Gennaio 2016 – Piacenza
IL TURCO IN ITALIA
Gioachino Rossini
Dramma buffo in due Atti su libretto di Felice Romani
Direttore: Giovanni Di Stefano
Regia: Federico Bertolani
Personaggio e Interpreti:
- Selim: Simone Alberghini
- Donna Fiorilla: Leonor Bonilla
- Don Geronio: Marco Filippo Romano
- Don Narciso: Boyd Owen
- Prosdocimo: Andrea Vincenzo Bonsignore
- Zaida: Loriana Castellano
- Albazar: Manuel Amati
Luci: Claudio Schmid
Scene e costumi realizzati da: Giulia Zucchetta, Federica Miani, Accademia di Belle Arti di Venezia
Maestro del coro: Corrado Casati
ORCHESTRA GIOVANILE LUIGI CHERUBINI
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
Coproduzione Fondazione Teatri di Piacenza, Teatro Alighieri di Ravenna
NUOVO ALLESTIMENTO
Teatro Municipale di Piacenza, Teatro Comunale di Ferrara, Teatro Comunale di Treviso
Opéra-Théâtre de Metz Métropole
Teatro “di tradizione”, quindi fuori dal giro delle Fondazioni, il Teatro Municipale di Piacenza brilla per una gestione invidiabile, a cui fanno capo, guarda caso, due donne. E che donne! Angela Longieri, Direttore oculato, e non potrebbe essere diversamente e Cristina Ferrari, Direttore Artistico che non finisce di stupirci per le stupende proposte.
A riprova di quanto affermo, dopo un Nabucco non meno che trionfale ed un non meno centrato Amico Fritz, fortemente voluto, ai quali non ho potuto assistere perchè… ancora non ho il dono dell’ubiquità, ecco Il turco in Italia, in una azzeccatissima cooproduzione che congiunge gli sforzi dei teatri Comunale di Treviso e Comunale di Ferrara, l’Opéra-Théatre di Metz, il Municipale di Piacenza, appunto e che presto approderà al Teatro Alighieri di Ravenna.
Lo spettacolo, innanzitutto, è assai riuscito. Rende con “quattro spiccioli” e tanta fantasia l’ambientazione, i colori di questa “Napoli milionaria” ante litteram e alla lettera, quando capitale lo era, e per davvero. Ed era pure la città più importante, non solo dell’Italia bensì in aperta rivalità con Parigi a livello europeo. Poi la storia andò come andò, ma questa appunto è un’altra storia. Il Turco rossiniano, pur essendo stato partorito alla Scala, non a caso approda a Napoli. Ivi la vita è densa di emozioni, di colore e di belle donne. Rossini e Romani, con questa loro intuizione pre-pirandelliana, lo sapevano benissimo. Ora Federico Bertolani, regista, con la bella scena costituita da quinte mobili e lenzuola sui toni verdolini per il primo atto, buttandosi sul rosso pummarola nel secondo, si giova di proiezioni mappali del molo Beverello e di via Toledo, ricrea uno spazio ideale per il “dramma buffo” e lavora di bulino sui caratteri in scena. A ciò si aggiungano i bei costumi anni 50 dello scorso secolo creati con molto gusto da Federica Miami e le luci, non meno che perfette, realizzate da Claudio Schmid, et voila! Il colpo è fatto. Ognuno è ben focalizzato: iniziando dallo svanito Albazar, sempre impreparato alle domande retoriche che gli rivolge il poeta Prosdocimo, giustamente un po’ stralunato e letteralmente trascinato, quando non inseguito, da una vecchia lettera 22 che è animata come un indocile cagnolino e corre telecomandata in giro per la scena.
Fiorilla e le sue amiche, procaci loro e lei pepatissima, si prestano pure a spogliarelli – assai contenuti, siamo nei “democristiani” anni Cinquanta, non scordiamocelo, quelli della sberla di Cossiga alla signora in decolté – sono assai credibili nel rendere pazzi tanto il povero Don Geronio, sorta di Ciccio Formaggio, quanto il gagà Don Narciso, un guaglione azzimato che pare fresco uscito dalla canzone di Renato Carosone. Rimane il bellissimo ed affascinante Turco – ohibò, pure lui si denuda il possente torace- comprensibilmente diviso tra le insinuose forme della nemmeno poi tanto velata zingara Zaida e le esibite “sette bellezze” di Fiorilla. Entrambe, Zaida e Fiorilla, non mancano all’appuntamento drammaturgico più atteso dell‘opera: quello della zuffa che chiude l’atto primo.
Non bastasse il divertimento, garantito senza interruzioni e cedimenti di ritmo in scena, prima dell’inizio della seconda parte si assiste all’inseguimento tra palchi e platea di Don Geronio che rincorre Fiorilla, la quale non esita a civettare pure con gli spettatori. A metterci un pizzico di suo ci pensa pure il Maestro Gianluca Ascheri, seduto al fortepiano, il quale intrattiene il pubblico facendo “musica d’ambiente” dalla tastiera con la celebre “Napoletana” di Mario Costa, tratta dall’operetta Scugnizza e con la non meno famosa canzone “Cara, ti voglio tanto bene” di Ernesto De Curtis, colonna sonora del film con Beniamino Gigli.
Insomma un trionfo di partenopea italianità a cui fa eco l’ottima orchestra giovanile “Luigi Cherubini” istruita a menadito dal Maestro Giovanni Di Stefano. Una bacchetta che merita il massimo rispetto e che ha concertato con grande cura e anche passione il gioello rossiniano. Sia lode pure al Maestro Corrado Casati ed al Coro del Municipale integrato da cantanti che hanno lo spirito dei solisti, pur nella loro garantita omogeneità. Fa piacere nominare per l’esuberanza scenica e per l’impagabile presenza almeno tre di loro, spesso “sfruttati” per dei “cameo roles“: il contralto Federica Bartoli, indimenticabile “Caramella” nell’Elisir d’Amore per la regia di Leo Nucci, il monumentale basso Ruggiero Leopoldo, che ricordiamo come possente voce “dans la coulisse” ne Les contes d’Hoffmann, ed infine Angelo Lodetti, elargitore di straripante simpatia. E mi limito a questi tre…
Ma tutti son da lodare, dal primo all’ultimo: iniziando appunto dal mercuriale Albazar del giovanissimo tenore Manuel Amati, passando alla procace e vocalmente pregevole Zaida del mezzosoprano Loriana Castellano. E’ piaciuto il Don Narciso del tenore australiano Body Owen, la nota più esotica del cast per l’accento che vagamente può far pensare a Nicolai Gedda, interprete del famoso e primo Turco in disco per la EMI, quello tagliatissimo da Gavazzeni, ma che grazie soprattutto ad una preziosa ed impensabilmente coquette Callas, tolse l’opera dall’oblio. L’aria del secondo atto che per inciso e per Gavazzeni Gedda mai cantò, lo ha visto a testa alta ed è il miglior complimento che gli si possa fare. Assai bene anche il Prosdocimo del giovane baritono Andrea Vincenzo Bonsignore: qui si ricordano le sue lacrime di gioia quando, al termine del fortunatissimo Elisir, dove interpretava Belcore in stile “Pane amore e fantasia”, fui testimone della proposta che gli fece Cristina Ferrari per questo Turco a venire. Promessa mantenuta da entrambi per la gioia di tutti. Molto bravo scenicamente e dunque largo ai giovani! Tra le brave ragazze, nonostante la pretesa poromiscuità del ruolo, va annoverata la 26enne Leonor Bonilla, sivigliana ed andalusa puro sangue, e dunque “napoletana spagnola”! Deliziosa in scena, bella da perdere la testa; non meno che eccezionale vocalmente, capace di prendere acuti e sovracuti con estrema naturalezza e facilità, ben istruita anche nello snoccialare agilità ed a cantare piano, smorzando e rinforzando i suoni con assoluta disinvoltura, da vocalista navigata. Se si pensa che studia da soli 6 anni e che ha vinto già due concorsi, c’è da rimanerne impressionati e desiderosi di risentirla presto, augurandole una radiosa carriera.
Chi è in carriera da un bel po’, ma qui ha saputo offrire il meglio di sé stesso, è stato Marco Filippo Romano, nel ruolo di Don Geronio. In una parte che, va detto, è un po’ anomala nel campo dei buffi, poichè ha un versante patetico e pure di innamorato che, all’uopo -e ciò avviene puntualmente nell’irresisitbile duetto del secondo atto- sa tener testa al focoso e prepotente Turco. Lo si è apprezzato per la bella vocalità baritonale, dove ha esibito sempre un canto preciso senza concessioni alla buffoneria gratuita o al parlato e nella resa scenica. Lui, piuttosto rotondetto, di sorprendente ed irresisitibilmente comica agilità. Insomma, il factotum in un’opera dove il Turco del titolo non viene gratificato nemmeno da un’aria. Ciò non toglie che un artista della statura di Simone Alberghini abbia potuto rinverdire i fasti, per esempio, di Mario Petri, che in molti ricordiamo aitante protagonista pure nei fotoromanzi e di “film peplum” degli anni del bel tempo andato, dotato di una vocalità peculiare, quella del Bass-bariton che, in definitiva, appartiene ad Alberghini. Il quale, pur avendo interpretato solo una volta, e per giunta a Los Angeles a due passi da Hollywood, il ruolo di Selim, sembra l’interprete ideale sia per l’ammiccante e seducente presenza, sia per la voce timbricamente individuabile che corre morbida e suadente.
Una recita fortunata, un cast di lusso, un teatro in cui si sono ritrovati tanti amici, molti giunti dalla vicina Milano. Il tutto in una provincia che ha il lustro ed i meriti di una vera capitale, quanto meno della lirica.