ATTILA -Teatro Comunale di Bologna- 23 e 24 Gennaio 2016

ATTILA -Teatro Comunale di Bologna- 23 e 24 Gennaio 2016

Giuseppe Verdi

ATTILA

su libretto di Temistocle Solera

tratto dalla tragedia Attila, König der Hunnen di Zacharias Werner

 

Direttore: Michele Mariotti
Regia: Daniele Abbado

Personaggi e Interpreti:

  • Attila: Ildebrando D’Arcangelo – Riccardo Zanellato (24, 27, 30)
  • Ezio: Simone Piazzola – Gezim Myshketa (24, 27, 30)
  • Odabella: Maria Josè Siri – Stefanna Kybalova (24, 27, 30)
  • Foresto: Fabio Sartori – Giuseppe Gipali (24, 27, 30)
  • Uldino: Gianluca Floris
  • Leone: Antonio Di Matteo

Scene e luci: Gianni Carluccio
Costumi: Gianni Carluccio – Daniela Cernigliaro
Movimenti scenici: Simona Bucci
Regista collaboratore: Boris Stetka
Maestro del Coro: Andrea Faidutti
Nuova produzione del TCBO con Teatro Massimo di Palermo e Teatro La Fenice di Venezia Orchestra, Coro e Tecnici del TCBO

fotografia: Rocco Casaluci

Attila_Antepiano__Ildebrando D'Arcangelo_Attila MG_0776©Rocco.Casaluci_2016Il rapporto impiccionesco con Attila è di lunga, jurassica data. Fine anni Sessanta (a occhio e con scarsa memoria direi il 1968) loggione del Gran Teatro del Liceo (ai tempi del franchismo in castigliano), sul podio un giovanissimo direttore nonchè tenore, Placido Domingo, in scena Justino Diaz, Leona Mitchel ed il tenore Francisco Lazaro. Labile con le date, lo spettacolo me lo ricordo come fosse ieri: mi piacque tutto e tanto. Si sa, giovanile entusiasmo in quantità pari all’imberbe esperienza di un curioso dicisettenne.
Già in Italia, alla Casa dello Studente di Trieste nei primi anni Settanta dello scorso secolo, la domenica sera ci si collegava al programma di Franco Soprano la cui sigla iniziale era un medley di musiche operistiche che spaziava dal Wozzeck a ritroso proprio fino al motivo del “dolore” del preludio dell’opera in questione.
E dunque, ogni qualvolta mi accingo all’Attila, opera tra quelle di “galera” che amo intensamente, un brivido mi corre per le vene, per dirla melodrammaticamente. E anche tanti ricordi, belli, emozionanti.
Emozione allo stato puro quella che m’ha preso subito e col preludio, che nel suo aprirsi nel primo squarcio apertamente cantabile anticipa la tinta notturna e melanconica dell’opera. Merito di una lettura coinvolgente e intensa di Michele Mariotti, al suo debutto come del resto la maggior parte della compagnia. Lo hanno seguito con attenzione mirabile, una precisione ammirevole raggiungendo risultati straordinari, destinati a ripetersi ed a rinsaldarsi nel corso delle recite, orchestra e coro, questo preparato benissimo da Andrea Faidutti (assente per motivi di salute) in grande spolvero e, il secondo con una partecipazione anche scenica di primissimo livello. Lettura infuocata, risorgimentale e battagliera laddove lo spartito lo esige, per esempio nella stretta del tenore, con la partecipazione del coro “Sì dall’alghe di questi marosi”, dove si fatica a non saltare dalla poltrona per unirsi al canto patrio, ma incline alla nostalgia, al rimpianto, dolcissima e soave del Preludio al primo atto, per esempio, precedendo una della pagine più commoventi dell’opera “Liberamente or piangi…”.
Attila_I_cast_Simone Piazzola_Ezio_MG_1620┬®Rocco.Casaluci_2016Mariotti, infine ed in assenza di suggeritore, sostiene idealmente il palcoscenico accennando tutta l’opera a fior di labbra, garantendo attacchi sicuri, respirando con chi sta cantando. Tutte qualità che gli vanno riconosciute e che spesso troviamo a mancare in altri blasonati suoi colleghi.
Un cast semplicemente perfetto, e non a caso scelto a misura dal direttore, quello della “prima”, accolta trionfalmente da un pubblico numeroso, elegantissimo delle “grandi occasioni”, e trasmessa in TV e Radio 3. Fino all’ultimo, a dire il vero, si è temuto che il pur bravissimo Ildebrando D’Arcangelo rinunciasse ad affrontare la “Prima”, in quanto afflitto da un grave problema familiare – e gli si è vicini e gli si fanno i più sinceri auguri per la salute dall’amata figlia – per fortuna, sostenuto dai colleghi e da tutte le maestranze e direzione del Teatro Comunale, ha trovato la forza ed il coraggio ed ha affrontato da par suo l’importante debutto. Crescendo in corso di recita e siglando un’interpretazione del “Sogno di Attila” che rimarrà nella memoria non solo dell’impiccione. Presenza scenica accattivante, incedere autorevole, ma non prepotente, ha reso alla perfezione il personaggio, che pur essendo il re dei barbari, risulta il più umano, leale e, in defintiva, positivo dell’intera vicenda.
Attila_Antepiano_Maria Jose Siri_Odabella MG_0510©Rocco.Casaluci_2016Al suo fianco la possente Odabella di Maria José Siri, il soprano uruguayano in continua crescita vocale ed interpretativa che sta attraversando un meraviglioso zenit artistico. La voce di lirico pieno, ma con un colore che può rendere appieno la drammaticità di una donna divisa tra la sete di vendetta e l’amore, con sbalzi di ottava spericolati nella prima sortita e poi nei concertati, si piega anche in piani e pianissimi di rara bellezza, sostenuti da una linea musicale esemplare. Esempio ne sia, per tutto, l’aria “Oh nel fulgente nuvolo”. Brava, bravissima ed acclamatissima anche a scena aperta.
Non meno acclamato il Foresto di Fabio Sartori. Il tenore trevigiano ha fatto di questo ruolo, interpretato anche in Scala, una sorta di biglietto da visita che prelude ad un possibile e speriamo prossimo Manrico. C’è la foga romantica, c’è il canto alato in pregevoli mezzevoci. C’è soprattutto un colore brunito naturale e non costruito gonfiando i centri, che lo rende individuabile nel mezzo di una ridda di tenori verdiani più o meno “finti”. Sartori canta col cuore, ma anche con la “voce”: qui non si bara, lo squillo è argenteo e se la figura non l’aiuta, tant’è. Si chiudono gli occhi ed ecco il più bel Foresto possibile.
Al suo debutto nel temibile ruolo di Ezio, Simone Piazzola baritono veronese trentatreenne, dimostra una abilità nel canto, un gusto nel porgere il suono ed una maturità di interprete semplicemenete sorprendenti.
Canta bene, canta morbido, la voce è di quelle baciate da Dio. Soprattutto ha l’intelligenza di usarla con oculatezza, senza spingere, senza cercare artificiosamente suoni che Celletti, in una delle sue più felici uscite, definì “scuola del muggito”.
Dei due ruoli di fianco, Leone (basso) ed Uldino (tenore) ne scrivo dopo, riferendomi al cast alternativo, poichè non hanno cambiato interprete.
Attila_Antepiano_I4Q1409©Rocco.Casaluci_2016Si vorrebbe sorvolare sulla regia di Daniele Abbado (scene e costumi di Gianni Carluccio e Daniela Cernaglio, movimenti scenici di Simona Bucci) un’altra occasione persa. Una “non regia” che oltre ad abusare di luoghi triti del cosidetto “Teatro di regia” alla tedesca (il coro che marcia come nel celebre quadro di Pelizza da Volpedo è solo un dettaglio) si perde in un infinità di “non sense”, dalle statue di cartapesta di schiene a testa mozza, alla presenza dell’indovino rabdomante con tanto di bastoncello da strisciare per terra, e quel che è peggio interrompe la sequenza delle scene con la calata del sipario nero per cambi quadro in cui… non cambia niente. Un’altra regia che, senza rispettare la descrizione naturalistica di cui la musica trasuda, il sorgere dell’alba, la laguna veneta, ecc., teoricamente “non disturba”. Se questo è un merito, come diceva il mio papà milanese, “viva la peppa”!
Va anche aggiunto che i fautori della parte visiva sono stati accomunati nel tripudio generale destinato principalmente agli esecutori musicali e che qualche buh isolato non ha colpo ferito.

Attila_Antepiano_I4Q1417©Rocco.Casaluci_2016L’avvicendarsi delle recite, dopo la “prima” trionfale del 23 gennaio la pomeridiana domenica 24 salutata con una non meno calorosa accoglienza da un pubblico, purtroppo, assai scarso, ci ha permesso di assistere a due cast in parte complementari e certo entrambi di indubbio valore.
Iniziando dal protagonista, il basso Riccardo Zanellato, praticamente al debutto di ruolo poiché era stato precedentemente “flagello di Dio” solo per un’esibizione in forma di concerto risalente a parecchio tempo fa, che ha siglato una prova davvero maiuscola. La sua vocalità ampia, timbrata e imponente, senza scadere mai nella platealità o peggio nel grido, ben si sposa con la concezione del direttore Mariotti, direttamente responsabile della scelta anche del cast “alternativo”. L’immagine si staglia con vigore e con un’intenzione interpretativa che sottolinea la grandezza di questo personaggio “solo” nella sua potenza, non che lo siano meno Boccanegra e Filippo II di là da venire. A suo agio nell’aperto cantabile, di cui il “sogno” rimane il momento di maggior espressività, quanto nel canto di agilità risolto con sufficiente scioltezza. Una bellissima prova coronata da frequenti applausi a scena aperta e dall’ovazione alla ribalta finale. Non meno felice l’esito di altri due relativamente giovani interpreti, il soprano bulgaro, ma italiana per formazione e matrimonio, Stefanna Kibalova nei panni di Odabella. Squillante nell’acuto di forza, preso con sicurezza e adamantina musicalità, ardente nel fraseggio della veemente donna guerriera, attenta all’accento della parola cantata, scolpita con vigore e precisione. La natura di lirico puro, con un passato pure leggero, la mette alla prova nei passaggi centrali e soprattutto nel settore grave, ma la vocalista scaltrita ne esce a testa alta e il pubblico l’ha assai apprezzata. Idem per il baldanzoso Ezio disegnato da Gezim Mishketa, baritono albanese italiano per carriera ed adozione. Un debutto il suo felicissimo, avvalendosi di una voce estesa, di maschio e sincero colore. Bene nel duetto iniziale con Attila, benissimo nell’aria e successiva difficile cabaletta, perfetto nel terzetto con Odabella e Foresto. Se un consiglio si può dare allo scalpitante puledro è quello di non carburare troppo: la sua voce corre e si espande senza problemi e non conviene premere l’acceleratore, anche se ciò si traduce in un canto generoso che al pubblico piace indiscutibilmente. Piaciuto, e molto, pure il Foresto del tenore Giuseppe Gipali, un professionista la cui presenza è pur sempre garanzia di sorvegliata linea di canto. L’interprete è parso, pur nella sua totale adeguatezza, un po’ sotto tono rispetto ad altre sue brillanti prestazioni. E’ anche vero che il ruolo di Foresto è forse quello psicologicamente meno risolto in questa prima fucina verdiana dove si testano soluzioni musicali di futuri sviluppi. Anche lui è stato salutato da applausi entusiastici e grida di bravo, che hanno accomunato gli altri due assai bravi cooprotagonisti: il 26enne basso salernitano Antonio Di Matteo, elemento da non perdere d’occhio, seppure impegnato nella episodica parte del Papa Leone e il cagliaritano Gianluca Floris, tenore “comprimario” che è l’orgoglio di una categoria e di una Scuola italiana che non conosce rivali al mondo. Inutile dire che alla sortita di Michele Mariotti, cui siamo debitori di una lettura a dir poco sensazionale, l’entusiasmo ha rasentato il delirio.

Andrea Merli

 

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