Milano FALSTAFF e WOZZECK, Happy End di una stagione non proprio felice

Milano FALSTAFF e WOZZECK, Happy End di una stagione non proprio felice

 

FALSTAFF

opera in tre atti

musica di Giuseppe Verdi

libretto di Arrigo Boito

 

Ferraguti Arnaldo (1862-1925), Milano, coda davanti la porta del loggione della Scala (Illustrazione del 1893)

Ferraguti Arnaldo (1862-1925), Milano, coda davanti la porta del loggione della Scala per la prima assoluta del Falstaff (Illustrazione del 1893)

Direttore: Daniele Gatti

Regia: Robert Carsen

Personaggi e Interpreti:

  • Sir John Falstaff: Nicola Alaimo
  • Ford: Massimo Cavalletti
  • Fenton: Francesco Demuro
  • Dott. Cajus: Carlo Bosi
  • Bardolfo: Patrizio Saudelli
  • Pistola: Giovanni Parodi
  • Alice Ford: Eva Mei
  • Nannetta: Eva Liebau – Irina Lungu (21, 24 Ottobre)
  • Mrs. Quikly: Marie-Nicole Lemieux
  • Mrs. Meg Page: Laura Polverelli

Scene: Paul Steinberg

Costumi: Brigitte Reiffenstuel

Luci: Robert CarsenPeter Van Praet

 

trailer Teatro alla Scala

K61A4785Il buongiorno si vede dal mattino” recita un famoso proverbio popolare. Nel caso della ormai conclusa stagione scaligera, sarebbe il caso di leggerlo alla rovescia. Cioè, “sbagliando il raffronto” come suggerisce Mimì a Rodolfo parafrasando La bohéme, “bella come il tramonto”.

Battute a parte, le felicissime riprese di Falstaff e Wozzeck festeggiatissime da un pubblico accorso numeroso ad Expo finita – ciò dovrebbe far riflettere, soprattutto sulla possibilità di ripetere  più spesso ed estendere a tutti gli spettacoli la proposta “ScalAperta”, con i biglietti di ogni ordine ridotti del 50 per cento – fanno ben sperare nel bicchiere mezzo pieno della prossima ventura stagione.

Il Falstaff “di Robert Carsen”, si rivede con gioia e piacere rinnovato dopo il suo debutto nella sala del Piermarini nel gennaio del 2013. Coprodotto col londinese Covent Garden, con l’americano Met, con le opere di Toronto e di Amsterdam, è l’esempio di come la regia, se retta da un’idea coerente e rispettosa del testo e della musica, possa trasportare un capolavoro fuori da qualsiasi tempo: qui gli anni 50 dello scorso secolo, in un’Inghilterra neo capitalistica e piccolo borghese dove la nobiltà in declino, ironica e nostalgica, di Sir John fa da giusto contraltare, con sarcasmo e distacco dalle miserie del mondo, dando un senso preciso non solo alla “fuga” finale, ma anche alle smanie sia del contorno femminile delle gaie comari, che alla cialtronesca virilità, in bilico tra l’amore appassionato e la avidità meschina, degli altri maschietti.

FalstaffIl cast è in gran parte mutato: al posto del monumentale Ambrogio Maestri, troviamo il non meno pantagruelico Nicola Alaimo che, a quanto si narra, è cresciuto di recita in recita. All’ultima del 4 novembre è parso a tutti non meno che sensazionale, per la prova vocale che è sembrata maiuscola e nel contempo ricca nel penetrare tutte le pieghe del poliedrico personaggio, per l’interpretazione che ne è risultata: spassosa senza scadere mai in volgare comicità, ammiccante e brillante, ma pure autorevole e ponderata nelle riflessioni che l’enorme Falstaff fa su sé stesso e sul mondo intero. Bene, bravo, bis…

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Rimanendo sempre in campo maschile, da segnalare la bellissima prova di Massimo Cavalletti, Ford dal bellissimo timbro e dalla voce ampia e sonora che ha maturato le qualità di interprete che in altre prestazioni, pur lodevoli, parevano solo abbozzate e che cedevano, piuttosto all’esuberanza di una voce effettivamente baciata da Dio. La fugacità del collegamento radiofonico, deciso 5 minuti prima dell’andato in onda, avvenuto tramite il telefono cellulare nel percorso in metro tra le fermate di Porta Venezia e Piazza Argentina, non mi ha concesso nemmeno di menzionarlo: son pentito e contrito, come i due truffaldini Pistola e Bardolfo, spassosissimi e assai ben cantati rispettivamente da Giovanni Battista Parodi e da Patrizio Saudelli. Ho citato via etere gli altri due tenori: Carlo Bosi, che del Dottor Cajus fa una macchietta indimenticabile dotato di una voce che “passa” sempre, anche nei pieni orchestrali e, soprattutto, Francesco Demuro, Fenton a dir poco incantevole per la bellezza della voce, per l’eleganza del porgere la sua serenata notturna e per la impeccabile musicalità.

K61A4764Brave pure le donne, iniziando da Eva Mei, dotata di un corpo vocale che rimane leggero, ma che ha ammirevole autorevolezza e nel fraseggio e nella linea di canto, risultando poi fisicamente aggraziata e femminilmente seducente. Ottima Laura Polverelli, Meg apprezzatissima già nella precedente edizione. Qualche perplessità sulla per altro sufficiente Nannetta di Eva Liebau che è passata quasi inosservata – altra cosa era Irina Lungu nel 2013 – viceversa straordinaria la Quickly, interpretata da una straripante simpatia e vocalità di lusso, Marie-Nicole Lemieux, contagiosa nella sua verve e comunicativa.

Resta da aggiungere la bellissima prova dell’orchestra, obbediente a Daniele Gatti che con Verdi si trova nel suo elemento naturale e che del Falstaff, in particolare, ha offerto tutte le possibili “tinte”, comprese quelle quasi “invernali” della tarda scrittura verdiana, rendendo al massimo il vigore e lo splendore del prezioso “testamento” del Grande Peppino. Buona pure la partecipazione del coro, come sempre istruito con rigore e precisione da Bruno Casoni.

 tutto nel mondo

 

 

WOZZECK

Opera lirica in tre atti

Libretto di Alban Berg tratto dal dramma teatrale Woyzeck di Georg Büchner

Musica di ALBAN BERG

Prima rappresentazione: Berlino, Staatsoper, 24 dicembre 1925

 

Wozzeck 2015Direttore: Ingo Metzmacher

Regia: Jürgen Flimm

 

Personaggi e Interpreti:

  • Wozzeck: Michael Volle 
  • Tambourmajor: Roberto Saccà
  • Andres: Michael Laurenz
  • Hauptmann: Wolfgang Ablinger-Sperrhacke
  • Doktor: Alain Coulombe
  • 1° Handwerksbursch: Andreas Hörl
  • 2° Handwerksbursch: Modestas Sedlevicius (solista dell’Accademia)
  • Der Narr: Rudolf Johann Schasching
  • Marie: Ricarda Merbeth
  • Margret: Marie-Ange Todorovitch
  • Mariens Knabe: Alberto Galli (voce bianca)
  • Ein Soldat: Sascha Kramer (solista dell’Accademia)

Scene: Erich Wonder

Costumi: Florence von Gerkan

Coreografia: Catharina Lühr

Luci: Marco Filibeck

Coro e Orchestra del Teatro alla Scala

Maestro del Coro:  Bruno Casoni

Coro di Voci Bianche dell’Accademia Teatro alla Scala

Produzione Teatro alla Scala

 

Wozzeck 2015Mondi stravolti, miseria e perdita d’identità, fino all’annientamento. Brividi, visioni, abissi dell’inconscio, nell’infermità della mente. Un omicidio rituale come straziante epilogo del capolavoro operistico del Novecento. Wozzeck tratta delle abnormi attenuanti di un diseredato, con sbalorditivo approfondimento psicologico e antropologico. Ai reietti, criminali a volte senza colpa, si rivolge la compassione del grande artista. La segreta alchimia musicale di Berg ha tradotto per gli ascoltatori le deformazioni della follia con una forza e una pietà che continuano a impressionare a novant’anni di distanza. Lo spettacolo del regista Jürgen Flimm, ormai un classico imprescindibile per la Scala, porta in scena anche parti del geniale dramma Woyzeck di Georg Büchner, da cui l’opera è tratta.

Wozzeck 2015La citazione del comunicato stampa dice già l’essenziale. Con il Wozzeck si è tornati a godere di uno spettacolo ampiamente collaudato, ripreso altre due volte dall’ormai lontano 1997 in cui vide la luce per la prima volta. La regia di Jurgen Flimm è particolarmente centrata e anche il sovraffollamento del palcoscenico ha un suo perché, poiché vi si riflette il dramma originale del Woyzeck teatrale. Perfetto il cast, di cui citerò solo i sensazionali protagonista, Michael Volle in vero sensazionale per espressività ed aderenza all’infelice soldato, e Ricarda Merbeth, non meno convincente Marie, sia sul lato espressivo che vocale. Bravi tutti, insomma. Con una lode speciale e sperticata al direttore d’orchestra – da estendere di nuovo alla orchestra scaligera in grandissima forma – Ingo Metzmacher che ha reso idealmente sia le spigolosità atonali della partitura, ormai un “classico” a tutti gli effetti, che la grandiosità degli ampi squarci sinfonici, per tutti il terribile e martellante finale che si dissolve nel “hop hop” intonato dalla flebile voce bianca. Una lettura che ha letteralmente stregato un pubblico visibilmente partecipe e, alla fine, pure commosso.

Andrea Merli

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